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Ufficio Studi '' Alcune considerazioni sui dati emersi da indagini ISTAT sui dottori di ricerca''

A cura della dott.ssa Elena Quadri*

L’esclusivo segmento formativo post-universitario del dottorato di ricerca, rappresenta il livello più elevato dell’istruzione universitaria e, mentre nei paesi avanzati è stato sempre contraddistinto da una forte espansione e un enorme aumento della sua domanda/offerta, nel nostro paese, storicamente, è stato caratterizzato da una grave arretratezza e un titolo valutabile solo a livello accademico. Infatti, ciò che ha contribuito maggiormente alla scarsa efficacia del dottorato, è stato l’inesistente collegamento con le altre istituzioni di ricerca, pubbliche/private, ed il mondo delle imprese; solo negli ultimi anni, si sta assistendo ad una lenta inversione di marcia, che sta portando ad una nuova considerazione e una diversa spendibilità del titolo.

Questo è stato anche frutto di rinnovamenti legislativi dell’intero sistema del dottorato in Italia, di fine anni ’90. La Legge 210/1998 sul reclutamento di ricercatori e professori universitari di ruolo, il DM 224/1999 con cui si da vita alle collaborazioni con soggetti pubblici/privati, italiani/stranieri, affinché i dottorandi possano svolgere esperienze lavorative, il DM 45/2013, con cui l’ANVUR ha fornito un “Regolamento recante modalità di accreditamento delle sedi e dei corsi di dottorato e criteri per l’istituzione dei corsi di dottorato da parte degli enti accreditati”, ne sono esempi.

Partiamo dal presupposto che c’è stata una notevole crescita del numero di laureati in Italia, ed una accresciuta offerta formativa post-laurea (master di I e II livello, scuole di specializzazione e corsi di dottorato di ricerca, con un cospicuo aumento del numero dei posti messi a concorso), che ha dato nuova linfa vitale al settore della formazione, ed il numero degli iscritti è salito notevolmente. Nel 1998 i laureati erano circa 130.000, nel 2001 circa 156.000, nel 2004 circa 260.000, nel 2007 oltre 300.000; a questo, ha fatto riscontro un numero di iscritti al dottorato di ricerca, passato da 21.000 unità nel 2000/01, a oltre 40.000 unità nel 2006/07 ed i dottori di ricerca, passati nello stesso periodo di riferimento, da 4.000 ad oltre 10.000.

Nonostante i progressi ottenuti, sintomo proprio dei paesi avanzati ad avere risorse umane sempre più specializzate e dare al dottore di ricerca la figura di interprete dello sviluppo e dell’innovazione, l’Italia è ancora fanalino di coda rispetto agli altri paesi europei: se nel 2001 in Italia il numero di dottori di ricerca era 4.000, la media europea era 13.000, con punte nei paesi scandinavi di 30.000.

A fronte di questo, anche l’ISTAT ha pubblicato negli ultimi anni, alcune indagini pilota, ricerche che hanno riguardato soprattutto, l’inserimento professionale dei dottori di ricerca. I dati riguardanti i dottori di ricerca, e che si riferiscono all’evoluzione temporale del fenomeno, si collegano ad una Indagine sull’istruzione universitaria condotta dal Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca, relativamente alla parte della rilevazione riferita al “Post-laurea”, mentre nella rilevazione inerente le attività svolte nell’ambito del lavoro e la produttività scientifica, i dati sono frutto di raccolte dettagliate di informazioni in modalità CATI (Computer Assisted Telephone Interviewing, tramite collegamento WEB).

Dopo alcune considerazioni su una prima rilevazione effettuata nel 2005, che riguardò leve di graduate del 2000 e del 2002 a tre anni dal conseguimento del loro titolo (che analizzava un campione di 8.194 dottori di ricerca, 3.903 del 2000 e 4.291 del 2002), si analizza poi una più recente rilevazione, eseguita tra dicembre 2009 e febbraio 2010, che ha studiato coloro che hanno conseguito il titolo nel 2004 e nel 2006, intervista che ha riguardato un campione di 18.568 dottori di ricerca, 8.443 del 2004 e 10.125 del 2006.

Illustriamo ora cosa hanno fornito, in generale, queste indagini.Il confronto tra la ripartizione di residenza prima dell’iscrizione all’università e quella in cui vivono abitualmente i dottori di ricerca al momento dell’intervista, è stato utilizzato dall’ISTAT come un strumento per studiare le migrazioni, sia all’interno del paese, sia verso l’estero, degli stessi. Il 74% dei dottori di ricerca che prima dell’iscrizione all’università risiedevano nelle regioni meridionali, continua a vivere abitualmente nella stessa ripartizione al momento dell’intervista; la quota sale a oltre l’85% tra chi risiedeva nel Centro e nel Nord.

I trasferimenti dei dottori di ricerca dalla ripartizione geografica di origine seguono poi, in sintesi, la direttrice Sud - Nord; dal Mezzogiorno ci si sposta soprattutto verso il Centro e il Nord, 10,8% in entrambi i casi, mentre i dottori di ricerca delle regioni centrali mostrano una propensione allo spostamento verso il Nord Italia, il 6,7%, spostamento equivalente a quello verso l’estero, il 6,5%, mentre i dottori di ricerca originari delle regioni settentrionali, si muovono soprattutto verso l’estero, l’8,4%. E’ interessante osservare che, in sostanza, le dinamiche degli spostamenti tra ripartizioni riguardanti i dottori di ricerca, sono simili a quelle che si riferiscono ai laureati: oltre il 96% degli originari del Nord rimangono a Nord, oltre il 92% del Centro restano e solo il 75% vale per il Sud.

Il dato sulla capacità di trattenimento (quota di dottori di ricerca residenti un una regione prima dell’iscrizione all’università che al momento dell’intervista vivono abitualmente in quella stessa regione) conferma un tratto ormai consolidato per l’istruzione universitaria a livello nazionale: scarsa attrattività delle regioni meridionali, meno del 70%, si riscontra per la gran parte delle regioni, come Abruzzo, Molise, Puglia, Basilicata e Calabria (dato che vale però anche per le Marche, la Liguria e il Trentino-Alto Adige), forte capacità di trattenimento per parte del Nord e del Centro, in testa Piemonte, Lombardia, Emilia-Romagna, Toscana, Lazio e Sardegna, con oltre l’80%. Le regioni settentrionali presentano anche le più elevate quote di spostamenti verso l’estero: si va dal minimo dell’Emilia-Romagna, 6,9% (dei dottori di ricerca ivi residenti prima dell’iscrizione all’università), al massimo del 10,5% della Liguria.

Altro dato invece, è quello sulla capacità attrattiva (quota di dottori che prima dell’iscrizione all’università risiedevano in altre regioni); la capacità attrattiva è decisamente elevata per il Trentino-Alto Adige, il 51% che, nonostante una contenuta capacità di trattenimento, risulta essere la regione con il saldo positivo più elevato, poi l’Emilia-Romagna con il 31,3%, la Lombardia con il 28,1%, il Veneto 27,2%, la Toscana 26,9%, il Lazio 24,9% e il Piemonte 24,3%.

Al contrario, il saldo è decisamente negativo per le regioni dell’Adriatico centro-meridionale (Marche, Abruzzo, Molise e Puglia), per la Basilicata, la Calabria e la Sicilia.

A fronte di una crescita costante nell’ultimo decennio dell’offerta formativa di corsi di dottorato di ricerca e di relativi iscritti che hanno conseguito il titolo di dottore, passati dai 4.000 del 2000 ai 12.000 del 2008, il quadro della mobilità verso l’estero presenta tratti prefissati ed esclusivi; una mobilità senza mobilità sociale.

Partendo dal dato che i dottori di ricerca del 2004 e del 2006, che vivono abitualmente in una ripartizione diversa da quella di residenza prima dell’iscrizione all’università, sono il 12%, e coloro che si trovano all’estero sono il 6,4%; si scopre che i maschi, originari del Centro-Nord, risultano più “mobili” verso l’estero (7,6% contro 5,1% delle femmine), mentre non vi è alcuna differenza di genere nella propensione alla mobilità interna, 12% per entrambi i sessi.

L’area disciplinare di conseguimento del titolo di dottore di ricerca, differenzia la propensione dei dottori alla mobilità; migrano con più frequenza i dottori di ricerca dell’area delle Scienze fisiche, 22,7% verso l’estero e 14,3% interna; alla stessa misura, sono attratti dall’estero, anche quanti hanno conseguito il dottorato in ambito matematico e informatico.

Si sposta di più chi ha conseguito il dottorato in giovane età (meno di 32 anni) e chi proviene da famiglie con un elevato livello d’istruzione (in cui almeno uno dei due genitori ha conseguito un titolo universitario), e svolge attività di ricerca, almeno in parte, nell’attuale lavoro, iniziato dopo il conseguimento del titolo.

Ora analizziamo più in dettaglio l’inserimento professionale dei dottori di ricerca.

A tre anni dal conseguimento del titolo, svolge attività lavorativa il 92,8% dei dottori di ricerca del 2006 e il 94,2% di quelli del 2004; il 5,4% del 2006 e il 4,4% del 2004, sono in cerca di occupazione, mentre l’1,8% del 2006 e il 1,5% del 2004, non lavorano e non sono in cerca di lavoro. Da sottolineare che, dei dottori di ricerca che svolgono attività lavorativa, una considerevole quota risulta occupata prima del titolo, specificatamente il 29,7% e il 24,6%.

L’attività lavorativa varia anche da area ad area: nel campo dell’ingegneria industriale e informatica lavora oltre il 97% dei dottori, mentre la quota scende sotto il 90% per le aree delle scienze storiche, antichità e politico/sociali. Occorre comunque analizzare anche la posizione professionale delle attività lavorative, che racchiude lavori stabili e lavori a termine.

I dipendenti a tempo indeterminato sono il 38% nel 2006 e il 52% nel 2004, mentre quelli a tempo determinato il 15% nel 2006 e il 13,8% nel 2004. Poi ci sono i lavori autonomi (rispettivamente 13,9% e 12,8%), i lavori a progetto (rispettivamente 10,3% e 8,7%), gli assegni di ricerca (16,2% e 8,4%) e le borse di studio/ricerca (6,6% e 4,2%); quindi, i lavori a termine riguardano rispettivamente circa il 47% e il 34% del totale.

Un altro dato interessante emerso, è che le attività svolte sono in modo prevalente nell’ambito della ricerca, il 48% dei casi, solo in parte nell’ambito della ricerca per il 27% dei casi, e circa il 25% (un quarto) svolge attività per niente collegate alla ricerca. Per quanto concerne le retribuzioni, guadagnano più i dottori di ricerca dell’area della medicina e delle scienze giuridiche (circa 2.000 €), mentre sono fanalini di coda quelli delle aree delle scienze storiche, antichità, letterarie e artistiche (in media circa 1.300 €); escluse le aree dell’ingegneria e informatica, le remunerazioni sono poi differenti tra uomini e donne, mediamente del 17%.

I dottori di ricerca si dichiarano infine, in generale, soddisfatti, riguardo le mansioni svolte, grado di autonomia ed evoluzione professionale, per nulla soddisfatti, riguardo la possibilità di carriera, trattamento economico e stabilità lavorativa. Ultima analisi riguarda l’esperienza lavorativa all’estero, cioè di coloro che hanno conseguito il titolo in Italia e vivono all’estero, quel 7% (6% del 2004 e 7,8% del 2006) che rappresenta circa 1.300 dottori di ricerca, tra l’altro l’8% maschi e il 6% donne.

Il settore disciplinare più numeroso di residenti all’estero è quello delle scienze fisiche, il 23,7%, un dottore di ricerca su quattro. I paesi che richiamano più dottori di ricerca sono: USA, Regno Unito, Francia, Germania e Spagna, destinazioni che hanno origine principalmente dal settore disciplinare.

Interessante è anche notare che oltre il 12% degli intervistati, residenti in Italia, ha espresso volontà di trasferirsi all’estero entro un anno.

Da quanto illustrato, emerge che l’Italia, nonostante le recenti normative relative ai dottorati di ricerca, e alla ricerca in generale, è sempre “indietro”, rispetto a quasi tutti gli altri paesi europei. Il titolo di dottore di ricerca, è pressoché sconosciuto, soprattutto al di fuori dell’ambito universitario, e nell’ambito di questo, le possibilità di inserimento sono minime; ne consegue, anche sulla base delle statistiche summenzionate, una forte migrazione soprattutto dal sud verso il nord, ed una consistente migrazione verso l’estero.

In particolare, in ambito regionale, sarebbe opportuno rendere più “attrattivo” il titolo di dottore di ricerca, nel senso di predisporre un sistema tale, da consentire “interessanti” prospettive di lavoro e così, a livello nazionale, vista la evidente carenza di opportunità di lavoro, di carriera e di finanziamenti, per evitare la “fuga dei cervelli” o una forzata “mobilità dei giovani ricercatori”.

La Coordinatrice Nazionale dei Dottorandi*

Dott.ssa Elena Quadri

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Leggi tutto il documento in formato pdf.  con gli allegati - Documenti ISTAT

* L’indagine sui dottori di ricerca: un’esperienza pilota - n. 10/2009 (F. Brait, C. De Vitiis, R. Petrillo, M. Russo, M. Strozza e P. Ungaro)

* Statistiche in breve del 14.12.2010 -  L’inserimento professionale dei dottori di ricerca - Anno 2009-2010

* Statistiche Focus del 27 dicembre 2011 - Indagine 2009 sull’inserimento professionale dei dottori di ricerca - mobilità interna e verso l’estero dei dottori di ricerca

 
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