Sentenza Corte Costituzionale:il potere di compensare o condannare le spese di soccombenza a carico del lavoratore è e resta rimesso al Giudice del Lavoro

A cura dell'avv. Nerino Allocati - Ufficio Legale FGU Gilda Unams - Dipartimento Università

La Corte Costituzionale con la sentenza n. 77 del 19 aprile 2018, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del novellato art. 92 del codice di procedura di civile che sostanzialmente introduceva, anche nel processo del lavoro, la regola del "chi perde paga" le spese di lite, non lasciando al giudice del lavoro più alcuna possibilità di compensarle, nemmeno in ipotesi particolari dove bisogna tener conto della posizione di debolezza del lavoratore o delle difficoltà probatorie che spesso ha il lavoratore nel rivendicare i suoi diritti (si pensi al c.d. motus datoriale ovvero alla coercizione che questi opera sui colleghi di lavoro che si sentono minacciati e che tentennano per non perdere il loro posto di lavoro).

 

Tuttavia, è un errore affermare, anche come notizia giornalistica, che il lavoratore non sarà più obbligato a pagare le spese legali perchè non è così. Il potere di compensare o condannare in caso di soccombenza è e resta rimesso al Giudice del Lavoro che, anche dopo la pronuncia della Corte, potrà sempre condannare il lavoratore laddove il suo apprezzamento della vicenda processuale dovesse fargli ritenere che la lite intentata dal lavoratore è infondata. E' giusto, quindi, tornare a parlare di un argomento a me molto caro che mi vede impegnato da molto tempo, ovvero la gratuità del processo del lavoro, così come originariamente pensato che certamente è qualcosa di più ampio rispetto ad una lettura costituzionalmente orientata delle norme in vigore.

La gratuità dell'intero processo (resta in vigore il pagamento del Contributo unificato per le cause di lavoro) così come il favor, ormai inesistente, l'esercizio dei poteri istruttori del giudice del lavoro, la celerità e la speditezza erano tutti capisaldi di una riforma voluta e pensata negli anni 70 partendo dalle conoscenze e dalle effettive condizioni del mondo del lavoro, dove esistono delicati equilibri e dove le parti processuali (il lavoratore ed il datore), non solo per ragioni economiche, non si trovano in condizioni di parità; una materia in cui deve sussistere un fortissimo interesse di natura pubblicistica ad una piena tutela ed al rispetto della legalità.

Purtroppo, invece, tassello dopo tassello quei principi ispiratori sono stati sfaldati da un legislatore sempre più vicino agli interessi dei poteri forti, che vedono nel processo del lavoro uno dei principali avversari dei loro interessi, e da una magistratura non più pienamente motivata, lontana da quei principi, relegata ad un ruolo di burocrate delle controversie. A ciò si aggiunga anche la gravissima perdita dei diritti sostanziali avvenuta in questi anni, in cui l’introduzione del Job Act e la depauperazione dell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori sono solo l’esempio più evidente.

Tali elementi hanno portato un drastico calo delle controversie di lavoro in tutti i tribunali d’Italia, che non significa, si badi bene, che è cessata la materia del contendere (anzi: è aumentato il lavoro nero, sono aumentati gli infortuni sul lavoro, sono aumentate le vessazioni è aumentata esponenzialmente la precarietà ed il numero di inadempimenti contrattuali) ma semplicemente che i lavoratori stanno rinunciando a far valere i loro diritti, anche se ridotti rispetto al passato, e ciò perché si sentono meno tutelati, esposti al rischio che la proposizione di una azione giudiziaria contro un datore di lavoro o un ex datore di lavoro può peggiorare la loro posizione lavorativa.

E’ chiaro che questa complessiva situazione non è neutra, trattandosi, in materia di diritto del lavoro, di diritti solo in senso lato disponibili, che possono singolarmente essere oggetto di singole transazioni al ribasso, ma che se elevata a sistema attesta che al ribasso è la stessa società civile ed i diritti consacrati nella carta costituzionale.

Bene, dunque, al compimento di un primo passo nella direzione giusta, ovvero che la Corte dichiari l’illegittimità dell’art. 92 del codice di procedura civile, come riformulato dal legislatore del 2014, nel perimetro sopra descritto, ma bisogna essere consapevoli che la strada per la risalita, per ridare dignità al mondo del lavoro e tutele effettive ai lavoratori è ancora lunga e certamente tale strada incrocerà nuovamente le competenze della Corte Costituzionale, alla quale è già sottoposto il vaglio di costituzionalità di molte norme odiose approvate di recente. Attendiamo con ansia questi altri importanti responsi.

Napoli 27.04.2018

Avv.Nerino Allocati

Studio legale

FGU GILDA UNAMS - Dipartimento Università

- Sentenza Corte Costituzionale n. 77 del 19 aprile 2018

 

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