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CISAL - STIPENDI AL SUD PIU' RICCHI CHE AL NORD, ENNESIMO ABBAGLIO DEI PROFESSORI BOCCONIANI

La Fondazione De Benedetti smentita da Ocse, Istat, Censis e dal buonsenso

Per fortuna i cosiddetti tecnici raramente sono stati chiamati a far danni nella gestione della cosa pubblica e le loro discutibili analisi, per lo più, durano il tempo di una fugace apparizione sui quotidiani. Di cosa siano capaci gli intellettuali liberisti, quando ricoprono responsabilità di governo, ne ha dato prova il duo Monti - Fornero: dal dramma sociale costituito dall'esercito degli esodati, lasciati senza stipendio né pensione, alla miriade di norme incostituzionali dapprima varate e poi precipitosamente rientrate a seguito delle pronunce della suprema Corte (una su tutte, la legge che intendeva tagliare gli stipendi oltre i novantamila euro, ma solo nel pubblico impiego, con la conseguente disparità di trattamento rispetto al mondo del lavoro privato).

Il fallimento del mito della società civile, con l'esaltazione del privato e del fattore economico in opposizione al pubblico e alla dimensione politica, è sotto gli occhi di tutti. Alain De Benoist ha scritto che il ricorso alla "società civile", nell'attuaIe contesto europeo, "è un modo di sovvertire il pubblico tramite il privato, di espropriare la cittadinanza delle sue prerogative a vantaggio di movimenti della società civile trasformati in altrettante lobbies o gruppi di pressione. I sostenitori della governance - sentenzia De Benoist - vogliono govemare senza il popolo" (in Diorama Letterario, n. 319),

Gruppi di pressione e Iobbies hanno i loro pensatoi, sull'esempio dei think thanks statunitensi, dove si elaborano studi e strategie che sono veicolati nell'immaginario coIlettivo, attraverso stampa e televisioni, per poi tradursi in programmi di governo e interventi legislativi. Ricordate l'articolo di fondo pubblicato sul più diffuso quotidiano italiano, a firma del professor Piero Ichino, nella calura agostana di diversi anni addietro, che diede il via alla martellante campagna mediatica che marchiò come ‘’fannulioni’’ i pubblici dipendenti, additati a capro espiatorio di colpe che andavano invece tutte ricercate nelle interferenze di certa politica? Quella campagna mediatica e poi politica di demonizzazione, produsse la fallimentare "riforma Brunetta", che si tradusse nella crescente privatizzazione dei servizi pubblici e dei profitti, a fronte dell'ulteriore moltiplicarsi dei costi, senza sortire effetti apprezzabili in termini di efficienza delle pubbliche amministrazioni.

Ma che si arrivasse addirittura a rovesciare la realtà dei fatti, confezionando teoremi tendenti a dimostrare l'assurdo di un Sud con stipendi più ricchi che al Nord, ha davvero dell’incredibile. A meno che non si intenda fornire, in maniera surrettizia, una implicita sponda ai tentativi di reintrodurre le gabbie salatiali. E' quanto lascia supporre l’improbabile conclusione dello studio della Fondazione Rodolfo De Benedetti, elaborato dagli economisti Tito Boeri, Andrea Ichino (un cognome che ricorre…) ed Enrico Moretti, presentato dalla stampa nazionale con titoIoni del tipo: "Stipendi, l'talia rovescita: il Sud più ricco del Nord', Tutta una serie di tabelle, classifiche, grafici, per dimostrare che il potere d'acquisto dei salari al Sud sarebbe più alto che al Nord. E, allora, nella cIassifica delle province ‘’più ricche", con salari più alti, avremmo nell'ordine: Caltanissetta, Crotone, Enna, Biella, Siracusa, Pordenone, Vercelli, Taranto, Vibo Valentia. La cIassifica delle province "più povere ", con i salari dal potere d'acquisto più bassi, vedrebbe al primo posto Savona, seguita nell'ordine da Roma, lmperia, Rimini, Genova, Firenze, Milano, Salerno, Aosta. Un paradosso? No, tutto pubblicato con la supponenza tipica della cultura accademica.

Un clamoroso abbaglio? Riteniamo proprio di si, alla luce degli studidi Ocse, Istat e Censis, resi pubblici o rievocati nei giorni immediatamente successivi. Insomma, una smentita implicita di quanto sostenuto dalla Fondazione De Benedetti, pervenuta nel giro di poche ore,da parte dei più autorevoli istituti internazionali e nazionali.

Come mai un autogol cosi clamoroso? Siamo allora andati a verificare le fonti, una sana abitudine ormai largamente caduta in disuso. E abbiamo scoperto che lo studio di Boeri, lchino (Andrea) e Moretti (Enrico), è in reattà dedicato all'incidenza teritoriale del costo della casa d'abitazione. Il titolo dello studio, pubblicato in inglese sul sito della Fondazione De Benedetti, è infatti ‘’Costo della casa e differenze salariali in Italia", Secondo la Fondazione, i costi dell'abitazione principale (prezzi d'acquisto, affitti, spese condominiali) sarebbero più alti al nord e, pertanto, inciderebbero in maniera determinante sul potere d'acquisto dei lavoratori dipendenti. Detta cosi, apparentemente, un senso ci sarebbe. Entrando nel merito, invece, come faremo più avanti, tale tesi è facilmente confutabile. Riteniamo già fuorviante il metodo di comunicazione dello studio, che cosi presentato ha di certo sortito l'effetto di far parlare di sé, confidando forse sulla scarsa conoscenza dell'inglese degli interlocutori. Boeri, e compagni, non avevano previsto che di lì a poche ore sarebbero stati pubblicati i rapporti di Ocse e Istat, rispettivamente sul benessere delle regioni e sulla povertà in italia di contenuto opposto. Veniamo, dunque. al merito dello ‘’studio’’ della Fondaziooe presieduta dall' editore di Repubblica e L'Espresso.

Il primo errore è nelle premesse, Iaddove non si tiene conto di un dato ben noto, che vede al nord la presenza, in ogni nucleo familiare, di almeno uno stipendio se non due;  mentre al sud con uno stipendio (o addiriittura una pensione), sono costretti a sopravvivere spesso due o più nuclei familiari. Un secondo errore, consiste nel non aver differenziato i costi delle abitazioni tra centri cittadini e periferie, tra città e provincia; col risultato di avere medie statistiche falsate dalla consisistente incidenza delle vaste zone centrali delle ricche città del nord (Churchill ridicolizzò la illogica logica di certe statistiche, col celebre esempio del pollo ... ). Il  terzo macroscopico errore è il non aver considerato, tra i costi dell'abitazione, quello del danaro, con le banche che costringono le famiglie meridionali (e le imprese) a pagare mutui di diversi punti percentua li più cari che al nord. A questi costi aggiuntivi, bisogna aggiungere quello della malavita. In certe zone del centro di Napoli, gli automobilisti sono costretti a versare ai parcheggiatori abusivi, inquadrati dalla camorra, una tangente che varia dai 200 ai 300 euro mensili per lasciare il veicolo, come sarebbe di diritto in quanto residenti, negli apposti spazi. Troppo facile fare studi e sparare giudizi dalle stanze ovattate delle fondaziooi o delle università, senza sporcarsi le mani sul campo, dove la ricerca si confronta con la vita e i problemi reali.

A proposito di malavita organizzata e, ancora, di stipendi, chiediamo ai professori se risponda al vero o è una favola metropolitana che al sud i salari sarebbero spesso taglieggiati alla fonte da imprenditori senza scrupoli, i quali, in presenza di una busta paga formalmente regolare, coosegnerebbero ai propri dipendenti la metà degli importi dichiarati, Il caso ha voIuto che, nella stessa giornata che vedeva la pubblicazione dello sfortunato studio diretto da Tito Boeri, nelle pagine di cronaca dei giornali è apparsa la notizia dell'arresto di imprenditori abruzzesi e di Casal di Principe, accusati di estorsione aggravata dal metodo mafioso, intermediazione iIIecita di manodopera e sfruttamento del lavoro. In sostanza, i lavoratori, per lo più casertani, impegnati nella ricostruzione post terremoto (dunque retribuiti con fondi pubblici) a L'Aquila e dintorni, ricevevano buste paga regolari e il relatiivo accredito dello stipendio sul proprio conto corrente, ma erano costretti a restituirne in contanti la metà previo contestuale prelievo al bancomat. Chi conosce il mercato del lavoro, sa bene che non si tratta di casi isolati, ma della triste consuetudine, E parliamo di lavoro formalmente regolare, senza entrare nell'infemo del lavoro nero a 4 euro l'ora, quando va bene. E allora, di cosa parlano gli esimi professori?

Sempre il caso ha voIuto che, il giorno dopo, venisse pubblicato il rapporto dell’Ocse sul benessere delle regioni europee. Il Sud Italia è in fondo alla classifica, basata su salute, lavoro e - udite, bocconiani – reddito. AI Sud, i disoccupati sono uno su quattro, la metà dei giovani meridionali è senza lavoro. Il Sud, per colmare questo ritardo, alvrebbe bisogno - per l'Ocse - di ampie politiche di sviluppo, basate sulla logistica, le infrastrutture materiali e immateriali (dai trasporti alla banda larga), la rigenerazione dei centri storici e, aggiungiamo noi, la messa in sicurezza (in senso lato) del territorio.

L'ultima occasione di sviluppo è rappresentata dai cento miliardi di fondi strutturali 2014/2020: le regioni hanno già dimostrato, in passato, di non essere in grado di cogliere tali opportunità. La probabile soppressione del Formez, prevista dal decreto legge Madia sulla pubblica amministrazione, che ha programmato e gestito 40 milioni di fondi strutturali dietro convenzioni con le Regioni , lasciano prevedere un peggioramento della situazione, A meno che non si proceda al varo di un'Agenzia nazionale per la coesione territoriale, che sottragga alle ineflicienti e corrotte regioni tali competenze.

Il Censis, già nel 2010, con uno studio diretto da Marco Revelli, aveva evidenziato che il 69% dei poveri risiede al Sud e aveva coniato il concetto di ‘’deprivazione materiale’’: alla domanda se è tollerabile per il bilancio familiare una spesa straordinaria di 700 euro, 18 milioni di italiani, ovvero un terzo delle famiglie, di cui due terzi al sud, hanno risposto negativamente. I dati sulla povertà, pubblicati dall' Istat, hanno evidenziato che in Italia i poveri assoluti sono ormai sei milioni (quasi il 10% della popotazione, con un picco del 13'% al sud). Altri dieci milioni di italiani sono attanagliati dalla povertà relatiiva, ovvero possono contare - per una famiglia di due persone - su di un reddito disponibile inferiore a 972 euro mensili. Si tratta di un ulteriore 16.6% della popolazione, di cui  il 26'% al sud, il 6% al nord, il 7,5% al centro. Un quarto degli italiani è ridotto in povertà, assoluta o relativa, grazie alle politiche  economiche liberiste e alla rigidità monetaria della Bce, tanto care ai nostri liberal.

La Fondazione De Benedetti alvrebbe dovuto tener conto di ulteriori costi aggiuntivi, che gravano sui magri bilanci delle famiglie meridionali. Dalle tariffe assicurative, che vedono un automobilista di Napoli o Palermo - a parità di classe di merito con un cittadino del centro o del nord - pagare circa mille euro all'anno in più di Rc. Se le auto sono due, duemila euro da sottrarre al bilancio rispetto ad una famiglia di Milano o Torino. Vogliamo parlare delle tasse sullo smaltimento dei rifiiuti urbani? Mediamente, al sud con un servizio per giunta scadente, la ex Tarsu costa alle lamiglie il doppio o il triplo rispetto al nord.

Vogliamo parlare della salute, ovvero di quanto costa ad un cittadino meridionale curarsi? Causa la crisi di liquidità delle regiooi meridionali, qualsiasi prestazione sanitaria - dalle analisi agli accertamenti diagnostici - è totalmente a carico dei cittadini, con l’esclusione di coloro che sono esenti per motivi di salute o di reddito. A tanto si aggiungano i costi dei cosiddetti viaggi della speranza, che vedono i meridionali spostarsi al nord per farsi curare quando la situazione si fa critica. In ultimo, la situazione penosa del trasporto ferroviario e di quello pubbtico locale, che costringe Iavoratori e famiglie del Sud a spostarsi utilizzando il mezzo di trasporto privato, con ulteriore aggravio di spesa. Di tutti questi elementi, il direttore scientifico della Fondazione Benedetti, e i suoi colleghi, non hanno tenuto conto. Con buona pace del metodo scientifico e della decenza.

Giuseppe Marro

Le questioni sviluppate nell’articolo, le dinamiche salariali, rapportate alla crescente povertà delle famiglie e le inevitabili conseguenze sul tessuto sociale, sono centro degli interessi e dell’azione della Confederazione Cisal.

Non a caso, il Segretario Generale, Francesco Cavallaro, ha incaricato il Centro Studi della Confederazione di organizzare – per la ripresa autunnale – uno specifico convegno pubblico, aperto alle forze politiche e sociali, oltre che a specialisti della materia, nel corso del quale saranno anche richiamate e illustrate le proposte della Cisal su tutte le problematiche collegate al fattore salariale, con particolare riguardo alla previdenza, al mercato del lavoro ed al fisco.

Fonte www.cisal.org

Libero del 24.07.14  - pagina a cura di Cisal

 
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