Sentenza Corte di Cassazione - E' possibile monetizzare le ferie non godute, ma nel P.I. occorre fornire la prova che il mancato pagamento è dipeso da motivate esigenze di servizio o da cause di forza maggiore.

Tratto da:ilquotidianodellapa.it - Nel pubblico impiego occorre fornire la prova che il mancato pagamento è dipeso da motivate esigenze di servizio o da cause di forza maggiore.

Un dirigente di una Asl emiliana otteneva dal Tribunale del lavoro una sentenza favorevole che gli riconosceva il diritto alla monetizzazione delle ferie (pari a 246 giorni) non godute. La Corte d’appello di Bologna, in riforma della sentenza di primo grado, ha accolto la domanda dell’Azienda.

 

Per la cassazione di tale pronuncia il dirigente ha adito la Suprema Corte, la quale con ordinanza del 30 luglio 2018 n. 20091 ha ribadito il principio in forza del quale nel rapporto di impiego alle dipendenze delle Pubbliche amministrazioni, il mero fatto del mancato godimento delle ferie non dà titolo ad un corrispondente ristoro economico se l’interessato non prova che esso è stato cagionato da eccezionali e motivate esigenze di servizio o da cause di forza maggiore.

Secondo i giudici di legittimità, nel caso in esame la Corte territoriale, facendo corretta applicazione del principio di diritto sopra riportato, ha ritenuto chiaramente disatteso l’onere di allegazione specifico dell’impossibilità di fruire delle ferie per causa non imputabile, tenuto conto della ragguardevole entità del numero dì giornate di ferie non godute e del fatto che ai dirigente sanitario apicale non potesse imputarsi un dovere d’ufficio di collocazione in ferie del dirigente responsabile di unità operativa, né che un’impossibilità della relativa fruizione potesse essere presunta sulla base di altre circostanze.

Ne è seguita, poi, la condanna al pagamento delle spese processuali.

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CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 30 luglio 2018, n. 20091

Rilevato che

la Corte d’appello di Bologna, in riforma della sentenza del Tribunale di Reggio Emilia, ha accolto la domanda dell’Azienda Usl di Reggio Emilia respingendo le domande proposte da C.A.C. in primo grado, dirette ad ottenere l’indennità sostitutiva delle ferie non godute pari a 246,50 giorni, nel rapporto d’impiego con qualifica dirigenziale intercorso tra lo stesso e l’Ausl dal 6/12/1993 e il 16/3/2003;

la Corte territoriale, ha accertato come incontestata l’interpretazione dell’art. 21 del c.c.n.l. del 1996 per il personale dell’area della dirigenza sanitaria, là dove lo stesso ha previsto che alla cessazione del rapporto d’impiego le ferie residue possano essere “monetizzate” solo quando il mancato godimento sia determinato da effettive e indifferibili esigenze di servizio, formalmente comprovate, o, comunque, a causa di ragioni indipendenti dalla volontà del dirigente;

ha ritenuto che il C., a ciò onerato, non avesse né allegato, né provato le circostanze ostative ai godimento delle ferie, in quanto costitutive del diritto a percepire l’indennità sostitutiva;

per la cassazione di tale pronuncia ricorre C.A.C. con due censure, mentre l’Ausl resiste con tempestivo controricorso e propone, altresì, ricorso incidentale condizionato affidato a tre censure.

Considerato che

con il primo motivo del ricorso principale, formulato ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3 cod. proc. civ., il ricorrente principale deduce “Violazione e falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro: a) art. 36 Cost.; b) art. 2109 cod. civ. e art. 21 commi 8 e 13 del c.c.n.l. sottoscritto il 15/12/1996”; l’indisponibilità del diritto alle ferie, di rilevanza costituzionale, non avrebbe impedito alla Corte d’Appello di sormontare il dettato dell’art. 36 Cost., facendo prevalere sull’affermazione costituzionale del diritto alle ferie l’interpretazione autentica di una norma contrattuale, con la quale le parti sociali hanno inteso limitare la monetizzazione delle ferie residue al solo caso in cui la mancata fruizione di esse non sia imputabile al dipendente, sul quale viene fatto gravare il relativo onere della prova; la violazione di legge avrebbe interessato, inoltre, la stessa applicazione della norma pattizia richiamata in motivazione, in quanto la carenza di organico del 50 per cento, mai contestata dalla controparte, aveva resa palese la difficoltà, sia per i dipendenti che per l’Azienda, di programmare un piano ferie compatibile con le esigenze di servizio. Pertanto, diversamente da quanto ha ritenuto la Corte d’Appello, sarebbero sussistite tutte le condizioni per la corretta applicazione dell’art. 21 del c.c.n.l. di settore; con il secondo motivo del ricorso principale, formulato ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 5 cod. proc. civ., lo stesso lamenta “Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”; la Corte avrebbe errato nel non porre a base del decisum un elemento, oggetto di discussione tra le parti, costituito dalla lettera protocollo n. 52878, in cui era la stessa Azienda sanitaria a riconoscere di dover ricorrere anche alla sospensione delle ferie e di tutte le assenze programmabili per i dirigenti medici, costituendo tale ammissione una grave presunzione di impossibilità di fruizione dei congedi; venendo al ricorso incidentale condizionato, con il primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3 cod. proc. civ., si lamenta la “Violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto e di contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro con specifico riferimento agli artt. 36 Cost., 2109 cod. civ. e 21, commi 8, 11, 13, c.c.n.l. dell’area relativa alla dirigenza medica e veterinaria del comparto Sanità, quadriennio 1998/2001. Prescrizione quinquennale del diritto all’indennità sostitutiva di ferie non godute – Decorrenza del termine prescrizionale dall’anno solare di pertinenza”; considerata la funzione dell’indennità sostitutiva, rivolta a compensare nell’ambito di un ordinario rapporto di sinallagmaticità, la prestazione lavorativa resa dal dipendente in eccesso rispetto al limite annuale legalmente e contrattualmente fissato, il termine per azionare la pretesa economica per il mancato godimento delle ferie sarebbe rappresentato da ciascun anno solare; con il secondo motivo la ricorrente incidentale contesta “Assimilabilità alle ferie delle giornate di riposo fruite dal dirigente”; i giorni di riposo di cui ha goduto il ricorrente principale, settimanalmente e continuativamente (171 giornate per la precisione), in base a quanto attestato dal sistema di rilevazione delle presenze – il quale, tuttavia, non giunge a scorporare autonomamente le ferie dai riposi – avrebbero dovuto ritenersi già come compensativi del diritto asseritamente violato, poiché il numero dei riposi goduti risulta superiore a quello spettante al ricorrente principale per contratto (115 giorni);

con il terzo motivo censura, infine, la “Non equiparabilità alle ferie delle giornate di congedo aggiuntivo per rischio radiologico ai fini del calcolo dell’indennità sostitutiva pretesa dal dirigente”; data la particolare natura del diritto ai congedi aggiuntivi per rischio radiologico, riconosciuti a fronte di particolari condizioni di esposizione a fonte radioattiva dei lavoratori, le relative giornate, avrebbero dovuto essere fruite a pena di decadenza nell’anno di pertinenza, e non sono, perciò, monetizzabili;

quanto al ricorso principale, la prima censura è infondata;

in fattispecie sovrapponibili, l’orientamento di legittimità consolidato va nel senso che “Nel rapporto di impiego alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, il mero fatto del mancato godimento delle ferie non dà titolo ad un corrispondente ristoro economico se l’interessato non prova che esso è stato cagionato da eccezionali e motivate esigenze di servizio o da cause di forza maggiore” (in tal senso ex multis Cass. n. 4855/2014);

nel caso in esame la Corte territoriale, facendo corretta applicazione dei principio di diritto sopra riportato, ha ritenuto chiaramente disatteso l’onere di allegazione specifico dell’impossibilità di fruire delle ferie per causa non imputabile, tenuto conto della ragguardevole entità del numero di giornate di ferie non godute (246,50 giorni in dieci anni), e del fatto che al dirigente sanitario apicale non potesse imputarsi un dovere d’ufficio di collocazione in ferie del dirigente responsabile di unità operativa, né che un’impossibilità della relativa fruizione potesse essere presunta sulla base di altre circostanze (p. 3 sent.);

la seconda censura è inammissibile;

essa è priva di autosufficienza, non avendo parte ricorrente trascritto la lettera protocollo n. 52878, menzionata nel motivo di ricorso, necessaria a porre il Giudice di legittimità in grado di avere la completa cognizione della controversia e del suo oggetto, di cogliere il significato e la portata della censura, rivolta alle specifiche argomentazioni della sentenza impugnata, senza che sia necessario accedere ad altre fonti ed atti del processo, ivi compresa la sentenza stessa (ex multis cfr. Cass. n. 18960/2017);

quanto al ricorso incidentale condizionato esso è assorbito;

in definitiva, non meritando le censure accoglimento, il ricorso principale è rigettato, mentre quello incidentale condizionato è assorbito; le spese, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso principale e condanna il ricorrente al rimborso nei confronti della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4000 per compensi professionali, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200 e agli accessori di legge. Assorbito il ricorso incidentale.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13.