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Sentenza Corte di Cassazione - Il lavoratore sospeso è assolto: qualunque sia la formula di proscioglimento, le retribuzioni non percepite sono dovute

Così deciso dalla Corte di Cassazione, sezione Lavoro, con la sentenza n. 11391, pubblicata il 22 maggio 2014. In tema di sospensione cautelare dal servizio in pendenza di procedimento penale a carico del lavoratore, il principio secondo il quale quanto corrisposto a titolo d'indennità al lavoratore nel periodo della suddetta sospensione deve essere conguagliato con quanto dovuto se questi fosse restato in servizio, trova applicazione non solo nel caso di proscioglimento in sede penale con formula piena, ma anche nel caso in cui la durata della sospensione cautelare ecceda quella della sanzione della sospensione irrogata a conclusione del procedimento disciplinare riattivato a seguito della sentenza penale di proscioglimento, ma con formula diversa da quella "piena", in quanto altrimenti la perdita della retribuzione dovuta non sarebbe giustificata e finirebbe per gravare il lavoratore prosciolto di una vera e propria sanzione disciplinare aggiuntiva per fatto unilaterale del datore di lavoro. Fonte dirittoegiustizia.it

 

La vicenda. Un dipendente pubblico di A.S.L. sottoposto a procedimento penale per fatti commessi nell’esercizio delle proprie funzioni, veniva sospeso per tutta la durata del procedimento. All’esito di questo veniva assolto per alcuni reati per non aver commesso il fatto e per altri prosciolto per intervenuta prescrizione. Il conseguente procedimento disciplinare si concludeva con l’irrogazione di sanzione conservativa della sospensione, di durata inferiore a quella complessiva cautelare. Agiva allora in giudizio il lavoratore impugnando la sanzione e chiedendo il pagamento delle retribuzioni non percepite a seguito della sospensione cautelare. Il Tribunale del Lavoro rigettava le domande. Proponeva appello, ma la Corte territoriale respingeva il gravame. Ricorreva così in Cassazione il lavoratore per la riforma della sentenza di secondo grado. 

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza n. 11391/14; depositata il 22 maggio)


 
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