CISAL: INCENTIVARE LA PIENA OCCUPAZIONE

Tratto da ‘’Una nuova politica economica per il benessere del Paese’’ Fonte CISAL

In base ai recenti dati Istat, rispetto al quarto trimeste 2013, il PIL italiano è calato dello 0,3% e, dopo oltre 50 anni, l’Italia è in deflazione. Come se non bastasse, dopo i dati negativi sulla fiducia delle imprese e dei consumatori, arriva un’altra doccia fredda:la disoccupazione balza al 12,6%, con punte che sfiorano il 40% per i giovani e le donne, soprattutto al Sud. Anche secondo le stime dell’Ocse la disoccupazione comincerà a diminuire nel 2016, ma resterà a livelli molto elevati, mentre gli aumenti dei salari sembrano destinati a rimanere modesti. Si stima un tasso di senza lavoro del12,3% nel 2015 e del12,1% nel 2016. La fotografia più drammatica dell’attuale crisi la fornisce la stessa BCE secondo la quale a subire la perdita di occupazione sono stati soprattutto i lavoratori con scarsa istruzione, presumibilmente i più deboli e, dunque, i più poveri. La crisi ha solo sfiorato i benestanti, mentre ha fortemente colpito i meno abbienti,acuendo le disuguaglianze sociali, peraltro in tutta Europa. Certamente colpa dell’ottusa politica di austerity, ma anche della crescente assenza di rappresentanza nei processi decisionali europei. Il Governo e il Parlamento hanno ritenuto di opporre al drammatico fenomeno della disoccupazione la Riforma del Mercato del Lavoro, in particolare con la Legge delega sul Jobs Act (Legge 183/14). Un provvedimento teoricamente nella direzione giusta che tuttavia contiene una serie di deleghe in corso di definizione. Soltanto una loro tempestiva e coerente attuazione consentirà di valutarne appieno l’efficacia, soprattutto in termini di occupabilità e di occupazione. Rendere meno rigido il rapporto di lavoro in uscita, rimuovendo alcuni vincoli che scoraggiavano le assunzioni stabili e introdurre la nuova tipologia di contratto a tempo indeterminato “a tutele crecenti” incentivandone l’adozione con una consistente decontribuzione triennale per i nuovi assunti, rappresenta certamente un’iniziativa condivisibile.

Così come vanno apprezzate la riduzione delle tipologie contrattuali fonte di precariato, la preannunciata riscrittura del codice del lavoro e la razionalizzazione degli ammortizzatori sociali finalizzandone l’utilizzo non solo al sostegno del reddito, pur necessario, ma anche alla riqualificazione e alla ricollocazione al lavoro.

Su tutto questo, tuttavia, pende ad avviso della CISAL  il dubbio che le buone intenzioni e qualche annuncio di  troppo si traducano in realtà, stante l’inadeguatezza delle risorse e degli strumenti messi a disposizione.

Del tutto ottimistica, ad esempio, la previsione che la decontribuzione per un triennio dei contratti a tempo indeterminato possa tradursi in 1 milione di nuovi assunti, al lordo ovviamente di quelli che ci sarebbero stati normalmente.È inoltre assolutamente insufficiente lo stanziamento previsto di 4 miliardi di euro per il quadriennio: 1 per il 2015, 1 per il 2016, 1 per il 2017 e 1 per il 2018. Una tale misura, ad esempio, non basterà per neutralizzare gli effetti negativi sulle casse pubbliche, in cui (stando alla stessa relazione) si creerà un buco di 5,99 miliardi di euro: 730 milioni nell’anno in corso, 2,3 miliardi nel 2016, 2,2  miliardi nel 2017 e 760 milioni nel 2018.

Ulteriori dati di fatto, ricavabili anche da precedenti  esperienze, stanno a dimostrare, purtroppo, come quasi  mai gli incentivi economici, peraltro complicati da normative confuse, riescano da soli a creare occupazione. Non esistono certezze che le aziende, dopo la fine degli incentivi fiscali per l’assunzione, decidano di confermare le risorse umane acquisite. D’altro canto, non è la prima volta che si promuovono incentivi per indurre le aziende ad assumere a tempo indeterminato. Lo hanno fatto, più o meno, tutti i Governi. Per limitarsi agli ultimi, lo hanno fatto gli esecutivi presieduti da Mario Monti e da Enrico Letta.

L’esperienza del flop degli sgravi contributivi del Governo Letta e della deludente Youth Guarantee (sulla quale pesa anche l’ inefficienza dei servizi per l’impiego regionali) dimostra, appunto, che le agevolazioni non generano “automaticamente” nuove assunzioni.

In definitiva, cioè, la volontà di incentivare le imprese ad assumere è certamente positiva, ma senza una forte ripresa della domanda, di nuove commesse e della conseguente crescita economica, non si crea nuovo lavoro.

Questi alcuni dei motivi per cui la CISAL ritiene che un sistema di decontribuzioni alle nuove assunzioni, oltre che sostenere le PMI italiane, debba soprattutto incentivare l’innovazione, essere mirato a settori ad alto valore aggiunto ed essere sempre attento all’impatto economico e sociale sul territorio, specialmente nel Mezzogiorno.

Un’operazione di questo tipo, inoltre, trasformerebbe una riforma a costo zero in una potenzialmente molto costosa (senza contare un’eventuale riforma degli stessi ammortizzatori sociali). Questo indebolirebbe la credibilità stessa dell’operazione. Gli studi che hanno valutato gli incentivi fiscali alla conversione di contratti temporanei hanno generalmente trovato che queste misure si rivelano uno spreco dei soldi dei contribuenti senza apparenti incrementi della quota di contratti a tempo indeterminato.

Il fatto è che per rendere davvero vantaggioso un contratto a tempo indeterminato, quando i contratti temporanei sono comunque un lungo periodo di prova, gli incentivi fiscali devono essere molto forti, ma con contestuali garanzie e sanzioni.

Colpisce, comunque, l’assenza di attenzione sull’assoluta mancanza di maggiori investimenti pubblici, ovviamente mirati in senso produttivo.

Tutto ciò avviene nel momento in cui in una Germania in difficoltà si riapre il dibattito sul sostegno alla domanda interna tramite maggiori investimenti pubblici che stimolano non solo la domanda di beni alle imprese, ma migliorano anche la competitività e la produttività del sistema privato tedesco.

In sostanza, in una crisi come quella che attraversa l’Italia e la stessa Europa, si riconosce che i consumi ripartono con la ripartenza dei redditi. A non accorgersene resta il datore di lavoro pubblico italiano che da oltre sei anni mantiene per legge l’assurdo blocco delle retribuzioni e dei contratti del pubblico impiego.

La CISAL, sull’intera tematica che ruota intorno al complesso problema del mondo del lavoro, ha avuto modo di esprimersi in più occasioni, ribadendo la propria organica proposta di introdurre un meccanismo automatico di “presa incarico del lavoratore disoccupato o inoccupato”, attraverso l’attivazione di politiche attive di Welfare.

In particolare, proponendo un Organismo Unitario di composizione tripartita pubblica/datoriale/sindacale che, anche nella logica del cosidetto outplacement e attraverso l’articolazione a livello territoriale in Centri unici polifunzionali:

a) provveda all’analisi delle tendenze e alla rilevazione dei bisogni del mercato del lavoro e conseguentemente alla progettazione/promozione di piani formativi quanto più possibile “mirati”;

b) funga da “interfaccia primaria” per le aziende e per i lavoratori rispetto a tutti gli altri soggetti operanti nel sistema (enti previdenziali, enti locali, enti bilaterali, ecc.);

c) attui politiche attive di Welfare, inserendo il lavoratore in percorsi formativi mirati e occupandosi attivamente del loro ricollocamento, anche con il coinvolgimento del

datore di lavoro;

d) provveda alle procedure per l’erogazione delle prestazioni legate allo stato di inoccupazione o disoccupazione, ovvero ad interromperle qualora il lavoratore rifiuti la

riqualificazione o il posto di lavoro (salvo giustificati motivi);

e) attivi sinergie con le istituzioni scolastiche e universitarie.

Il tutto garantendo il massimo della trasparenza, anche attraverso un efficace e tempestivo sistema informativo.

Un modello siffatto non si porrebbe in antitesi al sistema della bilateralità ma, al contrario, renderebbe più agevole l’attivazione pratica e soprattutto effettiva degli Enti Bilaterali. Il modello delineato, in cui centrali risultino le politiche attive di Welfare - attraverso analisi delle tendenze del mercato del lavoro, rilevazioni dei bisogni, formazione mirata obbligatoria e ricollocamento - rischierebbe, però, di risultare poco efficace se non accompagnato da una coerente riforma dell’attuale sistema di ammortizzatori sociali.

Se l’obiettivo è quello di giungere a un mercato del lavoro fluido, dove il lavoratore possa agevolmente riqualificarsi e ricollocarsi, le indennità di CIG e CIGS, dovrebbero tendenzialmente assumere un ruolo via via marginale (di natura, cioè, per entrambe “straordinaria”). E questo perché, da una parte tali strumenti non sono oggi indirizzati verso la riqualificazione e l’aggiornamento professionale, dall’altra perché ostacolerebbero la dinamicità stessa del sistema.

Con le suddette perplessità e la riserva di verificare i contenuti dei decreti attuativi del Jobs Act, la CISAL conferma la propria profonda convinzione che uno Stato moderno e  competitivo debba porre il lavoro e il diritto al lavoro al centro del sistema, garantendo meccanismi di protezione sociale trasparenti e coerenti con gli strumenti di Welfare veramente attivo. In particolare strutturati sulla base delle esigenze di funzionamento di un corretto mercato del lavoro.

Che il Parlamento sia stato chiamato a discutere una legge di riforma (il Jobs Act, appunto), addirittura con il dichiarato e ambizioso intento di riscrivere diritto e codice  del lavoro, senza richiamare e porsi il problema della piena attuazione dell’art. 39 della Costituzione, sembra alla CISAL un fatto del tutto singolare, certamente poco comprensibile se non addirittura fuorviante. Tanto più dopo i recenti richiami della Corte Costituzionale.

Una Riforma del Lavoro monca dello strumento essenziale di garanzia di una vera democrazia sindacale rischia di risultare l’ennesima non riforma,ancora una volta parziale e prevedibilmente inefficace.

La CISAL, infatti, ritiene che sia fondamentale, per una svolta veramente radicale del nostro Paese, abbinare all’auspicata attuazione dell’art. 39, espressione della democrazia sindacale, l’altrettanto auspicata attuazione dell’art. 46, garanzia della democrazia economica, che prevede e favorisce la partecipazione dei lavoratori alla gestione dell’impresa.

La CISAL crede, cioè, che sia necessario, da un lato, garantire a tutti uguali condizioni di partenza e successive pari opportunità; dall’altro che sia necessario impegnarsi contro ogni forma di assistenzialismo demagogico e contro la diffusa tendenza alla mancata assunzione delle proprie responsabilità.

La CISAL crede, inoltre, che la fine della proletarizzazione dei lavoratori non debba significare per il Sindacato rifuggire dalla responsabilità di rappresentarli e sostenerli, ma debba invece imporre a esso un onere in più: il dovere di promuovere e favorire la costante offerta di nuove opportunità di lavoro che si traducano in veri strumenti di crescita professionale, di impegno lavorativo e di riconoscimento/valorizzazione dei meriti.

In questo senso, l’obiettivo strategico prioritario del Sindacato “senza aggettivi”, cioè autonomo per definizione come la CISAL, deve consistere nel rivendicare per i lavoratori un ruolo finalmente non subalterno, ma paritario rispetto alle altre componenti fondamentali di una società democratica e moderna, favorendo in particolare il principio costituzionale della partecipazione quale strumento assolutamente indispensabile di democrazia.