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La Facolta' di Medicina ed il Servizio Sanitario Nazionale '' Documento CSA della Cisal Università''

La Facolta' di Medicina ed il Servizio Sanitario Nazionale

Documento presentato al I° Congresso Nazionale del CSA della CISAL Università a Montecatini Terme 16 -18 aprile 2008 ed aggiornato in occasione dell’assemblea regionale di Napoli che si terrà il 29 maggio 2008, quale contributo per la creazione del Comparto della Sanità Universitaria

Andrebbe perseguita una organizzazione della Facoltà di Medicina e Chirurgia nell’ambito della Sanità Universitaria che soddisfi i seguenti criteri secondo una scala temporale da definire nel medio termine:

  • Unificazione in una unica struttura denominata " Istituto Universitario di Cura e Ricerca Biomedica" di tutte le attività universitarie di ricerca, assistenza e didattica della Facoltà di Medicina e Chirurgia, ossia fusione della parte universitaria dei dipartimenti assistenziali (ASL) con quelli accademici di facoltà (Ateneo) e con i corsi di laurea (Facoltà Medicina), opportunamente ridefinendo l'offerta su poche tematiche trasversali integrate di eccellenza complementari rispetto all'offerta ;
  • Accorpamenti dei docenti (aventi da ora innanzi afferenza univoca al dato corso di laurea e purgati delle componenti appartenenti a dipartimenti di altre facoltà cui delegare la docenza delle relative materie propedeutiche alle Classi di Medicina, Odontoiatria e Biotecnologie) in pochi dipartimenti/centri di costo interamente accademici della Facoltà di Medicina e Chirurgia; identificazione delle relative tematiche e degli accorpamenti/gestioni ottimali tenendo opportunamente conto dello status e degli obblighi della facoltà da un punto di vista assistenziale (pazienti e clinici), didattico (studenti e piani di studio) e scientifico (contratti esterni e SCI)
  • Gestione centralizzata manageriale di qualità ,compatibilmente con le leggi vigenti e con la coniugazione di funzionalità ed economicità, che privilegi il profitto da parte dell'Ateneo/Facoltà, con distribuzione dei corrispettivi fra il personale T.A. ed i docenti coinvolti contestualmente al raggiungimento di standard concordati cn la Regione e lo Stato, rimettendo in discussione tutte le esistenti convenzioni e revocando l'autorizzazione al personale universitario ad operare nelle ASL (fatto salvo l'immediato rimborso all'Ateneo/Facoltà da parte della Regione dei costi del personale fornito negli ultimi anni).

In questa situazione dinamica di leggi , l'importante è definire il modello ideale e solo successivamente ricercare la sua applicabilità pratica in accordo con le singole Regioni.

E' quindi ragionevole pretendere che le strutture universitarie vengano giudicate considerando tutti e tre gli aspetti loro propri (assistenza, didattica, ricerca).

Il fatto che ciò non sia stato mai applicato, risale storicamente alla legge De Maria del 1971 e le successive legge 200 del 1974 ed all’art. 31/761 del 1979, non prendiamo in considerazione l’art. 28 del CCNL 2002/2005 in quanto ritenuto inapplicabile dalle stesse Università oltre che da recenti sentenze dei giudici del lavoro.

Con queste leggi la Sanità si appropriava letteralmente della produzione assistenziale degli universitari in cambio di un contributo stipendiale, in alcuni casi praticamente nullo.

Ciò nonostante, l'attività assistenziale universitaria è fornita dal personale strutturato, che è pagato almeno per 2/3 dal Ministero dell'Università e della Ricerca Scientifica, e dagli specializzandi, che dipendono in tutto da quest'ultimo.

In questo nuovo quadro, l'università potrebbe, sul modello USA, o di altri paesi europei, del nord Europa in particolare, pagare con i profitti assistenziali parte degli stipendi e la ricerca.

In cambio di una valutazione separata della sua attività, (non solo la maggiorazione dei DRG) l'università potrebbe offrire una maggiore verificabilità del suo operato attraverso organismi indipendenti (peer review) con criteri pubblici e trasparenti .

Questo controllo indipendente può essere utile non solo per la Regione ma anche per le strutture universitarie, potendo esse evidenziare i "rami secchi" con produzione insufficiente.

Un meccanismo meritocratico di questo tipo potrebbe rendere produttiva la struttura anche incentivando il personale a ottenere risultati migliori.

Allo stato attuale esistono troppi dipartimenti universitari e molti di essi dovrebbero essere probabilmente accorpati.

I dipartimenti assistenziali a loro volta potrebbero confluire in strutture più grosse come ad es. un Dipartimento di Diagnostica (radiologia, biochimica, biofisica,..), di Terapia (chirurgia, terapia genica, farmacologia..) etc.

Esistono ovviamente numerosi ostacoli alla realizzazione di un progetto del genere: ad esempio, nel dipartimento universitario lavorano anche assistenti ospedalieri che devono trovare un inquadramento più preciso.

Alla luce delle nuove normative sia sull'Assistenza che sulla Didattica e Ricerca va affrontata una discussione ed una riflessione sul futuro della Facoltà di Medicina Italiana ,in particolare appare opportuno cercare di: o correggere alcune degenerazioni nei rapporti con Enti e Organismi esterni che hanno causato una perdita progressiva di autonomia ed efficienza,

  • approfondire le implicazioni economiche didattiche e gestionali di soluzioni alternative sul modello "Policlinico Universitario" verso Istituto Ospedaliero a Carattere Scientifico-Multitematico da affidare alla gestione di pochi centri di costo dipartimentali opportunamente potenziati.
  • attivare per una riqualificazione della didattica una sperimentazione sul Corso di Laurea "Medico di Ricerca" nell'ambito del 30% di ore opzionali nel corso attuale di laurea in Medicina e Chirurgia nella prospettiva di un Corso autonomo ad hoc che rispetti i requisiti della Classe "Medicina". Tale Corso potrebbe iniziare a partire dal terzo anno, prevedendo l'ammissione a numero chiuso di non piu` di dieci studenti per Ateneo selezionati rigorosamente in base a criteri di merito e ad una domanda; il corpo docente potrebbe essere reclutato nell'ambito dei docenti dei dottorati di ricerca, affiancandoli con rappresentanti dell'Istituto Superiore di Sanità e delle industrie che hanno espresso interesse. Dovrebbe essere consentito l'inserimento nei corsi di dottorato di quanti conseguono il titolo di medico di ricerca previa conduzione di attività sperimentale originale e mirata negli ultimi due anni del corso di laurea.
  • avviare a livello nazionale un approfondimento a tutto campo sulle altre Classi di pertinenza (Medicina, Odontoiatria, Biotecnologie) per un uso ottimale delle risorse didattiche e strumentali dei singoli dipartimenti, che coinvolga tutti i docenti distribuiti nei tre livelli senza discriminazione alcuna e con assoluta meritocrazia che tenda a valorizzare tutte le competenze assistenziali ,didattiche e scientifiche oggi esistenti in Facoltà;
  • attivare in parallelo tre distinti corsi di laurea per tre distinti percorsi professionali di Practitioner, Research Physician e Health Manager, con un core comune richiesto dalla Classe che utilizzi pesantemente nelle parti propedeutiche di Fisica, Chimica e Biologia quanto offerto dalle Classi di Scienze.

La Facoltà di Medicina continua infatti a percorrere il suo cammino attraverso le esigenze, spesso divergenti, della Sanità e dell'Accademia.

La sua caratteristica di Facoltà "professionalizzante" non le permette, al momento, di tagliare il cordone che la lega al mondo della Sanità, che nel nostro paese è organizzata secondo schemi centralizzati sotto il controllo del rispettivo Ministero e degli assessorati regionali.

Il risultato di questo legame, obbligato e totalizzante, è che i docenti ed il personale T.A. della Facoltà Medica si trovano a dover osservare due normative e ad obbedire a due padroni.

Di questi uno (la sanità) adotta il classico sistema della "carota e del bastone" per ottenere che il personale universitario dedichi tutte le sue energie al compito assistenziale e quindi contribuisca alla "resa" del sistema sanitario in cambio della concessione degli strumenti indispensabili al compito istituzionale di docenza e di ricerca.

La situazione appena descritta crea un disagio crescente.

Negli ultimi anni la Facoltà di Medicina è transitata, ancora una volta, attraverso un passaggio difficile da cui è uscita con molte incertezze che si sommano a quelle passate e ne aumentano lo stato di disagio.

Il passaggio a cui ci si è riferiti è il processo innescato dal Ministro Bindi che, nell'atto di stabilire alcune regole inerenti la funzione e le attività del Servizio Sanitario Nazionale, ha incluso nella sua legislazione il triennio clinico della Facoltà di Medicina trascurando, nella sostanza, la sua missione didattica e scientifica.

Infatti questo intervento legislativo ha trasformato l'Università in una "azienda sanitaria" definendo molto dettagliatamente gli oneri (pesanti e impegnativi) assistenziali dell'Istituzione e dei singoli docenti e lasciando nel vago ("nel rispetto di...") quelli istituzionali; al punto che detta legge non prevede che le aziende sanitarie che includono l'università, possano accedere direttamente ai finanziamenti per la ricerca sanitaria che il Ministero (della Sanità) riserva esclusivamente alle Istituzioni di ricerca che operano sotto il suo diretto controllo, cioè gli Istituti Scientifici di Ricerca e Cura.

Questo provvedimento di legge faceva anche riferimento alla emanazione di linee guida nazionali che avrebbero dovuto essere propedeutiche alla sua completa applicazione .

Dette linee guida sono state emanate a conclusione di un iter lungo e defatigante che ha visto contrapposti e in disaccordo la Conferenza dei Presidi delle Facoltà mediche, il MURST, Il Ministero della Sanità e la Conferenza Stato-Regioni.

Questa ultima ha cercato in vario modo di "regionalizzare" le Facoltà mediche (vedi Udine) introducendo in questo modo il principio che le Regioni possono intervenire sulla programmazione e gestione universitaria, pur non avendo avuto le stesse alcuna delega specifica in materia.

Allo stato attuale delle cose non è chiaro capire se le linee guida emanate siano applicate in tutto o in parte, ne' se la stessa legge 517 (Bindi) verrà mantenuta in essere.

Il risultato è che, in questo momento, ogni Università vive una realtà diversa essendo i rapporti con il SSN in completa balia dei singoli assessori regionali e/o dei Direttori Generali delle aziende che, nelle singole realtà, decidono di tenere conto della Legge Bindi, o delle normative antecedenti (529), nei limiti delle proprie convenienze e convinzioni.

L'attività degli operatori universitari rimane disomogenea sul territorio nazionale, incerta, e fortemente sbilanciata in senso assistenziale. I docenti, medici e non ed il personale T.A., sono chiamati a profondere un impegno professionale in campo sanitario che, in gran parte, non trova riferimenti nello stato giuridico Universitario. I docenti in particolare, infatti, assumono oneri di orario e di responsabilità gestionale, personale e sociale che non sembrano immaginabili negli altri settori universitari senza avere neppure la garanzia di una remunerazione equa e comparabile con quella delle rispettive componenti ospedaliere.

Ai docenti universitari è da un lato impedito di fare domanda per finanziare un progetto di ricerca e, dall'altro, imposto di svolgere attività professionale e manageriale per il SSN in un contesto in cui l'attività universitaria istituzionale sembra rappresentare un optional aggiuntivo.

L'atteggiamento del mondo universitario è stato molto equivoco e spesso ha mirato più a difendere alcuni privilegi che a cercare di ottenere dalla Sanità garanzie per un funzionamento ed uno sviluppo razionale delle strutture universitarie.

Le altre componenti universitarie spesso guardano alla Facoltà di Medicina con sospetto e apprensione dettati dalla non comprensione dei problemi, dal timore generato dal peso finanziario della gestione delle risorse strumentali, e dal fatto che il numero elevato dei docenti medici si ripercuote sulla ripartizione delle risorse e sugli equilibri elettorali per la formazione degli organi di governo.

Sul tappeto rimangono alcuni problemi di vitale importanza che riguardano:

  • ridefinizione dei rapporti fra Regioni ed Università sulla base delle linee guida emanate;
  • la definizione del ruolo della Facoltà Medica nel contesto della sanità;
  • la posizione del personale tecnico Amministrativo e sanitario e dei docenti medici e non medici universitari in termini di stato giuridico, di ruolo operativo all'interno delle Istituzioni sanitarie oltre che di livello remunerativo in relazione alle prestazioni richieste
  • organizzazione dipartimentale delle attività che permetta il superamento definitivo della gerarchizzazione ospedaliera dei docenti.

Il lavoro richiesto e le responsabilità imposte dalle convenzioni devono trovare una controparte retributiva chiara e definita, omogenea su tutto il territorio nazionale senza che ciò comporti la creazione di nuovi meccanismi di gerarchizzazione fra i docenti.

Questa esigenza trova una risposta poco chiara nel documento delle linee guida in cui si afferma che le aziende sanitarie dovrebbero conferire alle università una somma pari a quanto sarebbe stato previsto dalla applicazione dall'articolo 102 della legge 382 del 1980 (peraltro abolito) da destinare ai compensi del personale universitario.

E' oscuro a quale realtà ci si debba rifare in quanto la 382 faceva riferimento ad una realtà convenzionale ormai tramontata e da sostituire con quella nuova da definire.

Una simile proposizione conferma le incertezze circa la volontà e la possibilità di attribuire agli universitari un riconoscimento retributivo adeguato alle funzioni ed al carico di lavoro che ad essi viene imposto.

La posizione ottimale sarebbe che agli universitari venga riconosciuto un trattamento economico che:

  • per la componente docente, che li ricompensi dell'impegno aggiuntivo rispetto al resto della docenza universitaria;
  • per il personale T.A. e docente che sia proporzionato al carico di lavoro , alle responsabilità e alla resa in termini di capacità di conciliare l'attività assistenziale con quella scientifica e didattica;
  • sia erogato dall'Università in base a criteri uniformi sul territorio nazionale e non esponga il personale docente e T.A. ai ricatti e alle scelte degli organi sanitari regionali. Per realizzare questi obbiettivi è auspicabile che il MURST emani le proprie "linee guida" idonee a regolare i parametri remunerativi e le modalità di valutazione del "prodotto" degli universitari.

Accanto al problema retributivo si impone la soluzione di un aspetto organizzativo che è reso cogente dalla emanazione delle linee guida per l'applicazione della legge 517: la strutturazione dei dipartimenti integrati.

La legge in questione vede il dipartimento come una struttura rivolta alla razionalizzazione delle attività assistenziali, una tale prospettiva è chiaramente insufficiente per l'Università che deve porre al centro della sua organizzazione lo studente e la ricerca scientifica.

E' pertanto necessario realizzare un impegno per delineare un modello organizzativo che permetta di strutturare realtà cliniche in cui lo studente si trovi al centro di competenze convergenti che gli permettano di essere permeato dal sapere dei docenti che, ciascuno con la propria personalità, concorrono alla realizzazione di un progetto ad un tempo assistenziale e didattico.

Il modello potrebbe essere mutuato dalle realtà anglosassoni che hanno una organizzazione basata sulle competenze piuttosto che sulla gerarchia come ancor oggi succede nelle nostre Unità Operative convenzionate.

Questa esigenza non è nuova, essa traspariva già dalla legge 382 del 1980 che, istituendo il ruolo dei professori associati, indicava la necessità di porre gli strumenti didattici al servizio di docenti con diverso grado di maturazione scientifica ma con pari dignità didattica.

Più di 20 anni rappresentano un tempo "infinito" in questo settore, ma si può sempre sperare in un ravvedimento e in una correzione di rotta soprattutto quando una amministrazione non universitaria ripone sul tappeto la questione dipartimentale.

Bisognerà inoltre ottemperare alla carenza ad oltre 100.000 infermieri e di altri profili sanitari della cui formazione è competente l’Università come previsto dalle disposizioni in materia di professioni sanitarie attraverso una politica oltre che di formazione anche di tipo pratico, per esempio sistemazioni di tipo residenziale nel contesto di strutture afferenti al Comparto della Sanità Universitaria. Per tutti, la formazione dovrà essere l'obbligo e l'imperativo, attraverso il rilancio delle attività didattiche della Sanità Universitaria nei termini indicati in una integrazione qualificante e professionalizzante degli aspetti di ricerca,didattica ed assistenziale.

E’ inoltre di vitale importanza, per la sopravvivenza della Facoltà Medica, la soluzione dell'accesso ai finanziamenti per la ricerca: appare opportuna la creazione di un'agenzia nazionale che gestisca questi finanziamenti e li attribuisca non in base all'appartenenza a "parrocchie" bensì in relazione alle capacità e alla produttività scientifica.

Il sistema della Sanità Universitaria con le sue 39 Facoltà di Medicina presenti su tutto il territorio nazionale, con circa 29.900 posti letto e oltre 28.000 nuove immatricolazioni annue (tra corsi di laurea in medicina e corsi delle professioni sanitarie), rappresenta il cuore della formazione e della ricerca sanitaria del Paese.

Ciò in quanto la Sanità Universitaria rappresenta da una parte una garanzia di qualità grazie al rapporto integrato tra ricerca ed assistenza, e quindi al costante contributo all'innovazione medica e tecnologica, dall'altra risponde alle esigenze di una sanità sempre più moderna, innovativa e competitiva anche a livello internazionale attraverso la formazione di personale delle professioni sanitarie e mediche competente e continuamente aggiornato.

E' in quest'ottica che la CRUI, la Conferenza dei Presidi di Medicina e Chirurgia e il Coordinamento delle Regioni, istituirono un tavolo tecnico che ha affrontato i problemi relativi alla revisione del decreto legislativo 517/99 (che regola i rapporti fra il SSN e le Università) in una logica di maggiore valorizzazione dell'attività istituzionale scientifica, didattica e assistenziale universitaria e della sua integrazione nella programmazione sanitaria regionale e nazionale.

Dall'incontro, in chiave propositiva, è emersa una indicazione di massima su un possibile intervento di modifica delle norme di cui al decreto legislativo 517/99, senza però raggiungere un accordo soddisfacente con i Ministeri cointeressati, dell'Università e della Ricerca e della Sanità.

Ne consegue che la Sanità Universitaria, risorsa strategica per il sistema universitario nazionale, rischia di entrare in una crisi irreversibile se non si interviene prontamente.

Questo il grido d'allarme lanciato dalla Conferenza dei Rettori delle Università Italiane che noi abbiamo colto ed è uno dei motivi fondanti della proposta di un Comparto della Sanità Universitaria.

In caso contrario, la sempre più evidente inadeguatezza normativa, legata in particolare alla necessità di revisione del decreto legislativo 517, la capacità scientifica della Sanità Universitaria è costantemente frustrata, oltre ad essere anche depauperata di fondamentali risorse finanziarie.

E' giunto il momento di costruire da subito un'alleanza strategica, di cui il CSA della CISAL Università si farà promotore, nel reciproco rispetto dell’autonomia gestionale, tra il sistema della Sanità Universitaria e le Regioni per restituire a questa determinante risorsa il giusto ruolo nell'ambito del Sistema Sanitario Nazionale, in funzione degli altri inscindibili compiti istituzionali della didattica e della ricerca.

Arturo Maullu
Segretario Generale CSA della CISAL Università

 
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