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Ulteriori Chiarimenti del 17.10.11 "Permessi studio per i corsi organizzati dalle Università Telematiche"

Nota dell'Ufficio Studi  

Ulteriori Chiarimenti del 17.10.11 "Permessi studio per i corsi organizzati dalle Università Telematiche"


Innanzitutto, dobbiamo precisare che l’orientamento applicativo sottopostoci è stato emesso dall’ARAN con riferimento al Comparto Ministeri e con particolare riguardo all’art. 13 del contratto collettivo 16 maggio 2001 di tale comparto, rubricato “Diritto allo studio” e, pertanto, non pare espressamente utilizzabile per il comparto università.

Per quanto concerne tale comparto, l’istituto dei permessi di studio, sebbene disciplinato, in linea generale, dall’art. 10 della legge n. 300/1970 (Statuto dei lavoratori), trova una più esaustiva disciplina nell’art. 32 del contratto collettivo nazionale 16 ottobre 2008.

La citata disposizione contrattuale, evidentemente, amplia lo scarno contenuto della norma di legge, e (nei commi 8 e 9) prevede la possibilità di fruire delle cosiddette 150 ore di permessi straordinari retribuiti, “per la partecipazione a corsi …”, “per sostenere i relativi esami e per la preparazione dell’esame finale”.

Il successivo comma 12, demanda, invece, alla contrattazione collettiva integrativa, la disciplina delle “modalità di certificazione degli impegni scolastici o universitari”.

Il semplice fatto che la disciplina dell’istituto sia di matrice contrattual-collettiva, già di per sé, qualora sorga controversia di natura interpretativa, richiederebbe, anziché un semplice parere dell’ARAN (che, come è noto, non è vincolante per le parti) un accordo di interpretazione autentica, ai sensi e per gli effetti dell’art. 64 del D.lgs. n. 165/2001.

In ogni caso, il tenore letterale delle citate disposizioni contrattuali induce a ritenere che i permessi non siano fruibili soltanto per la (eventuale) frequenza delle lezioni, ma anche per tutte le altre attività cui lo studente è tenuto, nella sua qualità, appunto, di studente. Ovvero, oltre che per la frequenza, anche per la “preparazione degli esami”, il che, anche ai sensi delle vigenti disposizioni di legge e regolamentari, anche per l’attività di maggior impegno, vale a dire lo studio individuale.

Del resto, è ben noto che, fin dalla riforma dei corsi di studio disciplinata dal DM 509/99 e successive modificazioni, il numero di CFU (crediti formativi universitari) è attribuito ad ogni insegnamento sulla base delle ore di lezione, ma anche ed inscindibilmente, in relazione all’attività di studio necessaria per la “preparazione degli esami”.

Tale attività, ovviamente, richiede allo studente-lavoratore un serio e costante impegno, che, in qualche modo, il lavoratore ha diritto di recuperare e, altrettanto ovviamente, potrà effettuare tale recupero soltanto attraverso il riconoscimento del diritto di fruire dei permessi di cui al citato art. 32.

La mera circostanza di fatto che le lezioni impartite dalle Università telematiche possano essere “frequentate” al di fuori ed oltre l’orario di lavoro, a nostro avviso, non consente di discriminare gli studenti-lavoratori iscritti a queste ultime rispetto agli altri.

Se si dovesse accogliere l’interpretazione fornita dall’ARAN con il recente orientamento applicativo M166, si realizzerebbe una palese discriminazione, non soltanto nei confronti degli studenti delle Università telematiche, ma, in ipotesi, anche nei confronti di studenti-lavoratori iscritti a scuola dell’obbligo “serale”.

Infatti, la più recente giurisprudenza ha avuto modo di precisare che  “la fruizione dei permessi di studio (è) riconducibile a diritti fondamentali della persona, garantiti dalla Costituzione (art. 2 e 34 Cost.) e dalla Convenzione dei diritti dell'uomo (art. 2 Protocollo addizionale Cedu), e tutelati dalla legge in relazione ai diritti dei lavoratori studenti (art. 10 della legge n. 300 del 1970)”. (In tal senso, v. Cass.  sez. lav., 17 febbraio 2011 n. 3871, in Giust. civ. Mass. 2011, 2, 261). E, pertanto, una incoerente limitazione di tali diritti rappresenterebbe una grave violazione di tali fondamentali disposizioni.
Dopo l’ultima riforma del pubblico impiego attuata con il D.lgs. n. 150/2009, inoltre, così come assai recentemente riconosciuto anche dal Dipartimento della Funzione pubblica con la circolare n. 12/2011, il possesso di titoli accademici è condizione (spesso necessaria) per le progressioni economiche e di carriera del personale delle pubbliche amministrazioni e, pertanto, il rendere meno agevole il conseguimento di tali titoli potrebbe generare evidenti danni al personale stesso.

Altrettanto condivisibile appare la nota del MIUR del 20 settembre 2009. La Direzione generale per l’Università di tale Dicastero, infatti, evidentemente ben conscia dei doveri dello studente universitario, ammette che “il percorso formativo universitario si concretizza in attività non necessariamente legate alla frequenza delle lezioni”.

Contestualizzando tale affermazione nel comparto Università, può agevolmente ritenersi che l’espressione “partecipazione ai corsi” contenuta nel citato comma 9 dell’art. 32 del contratto collettivo nazionale di comparto deve essere letta in modo ampio, perché comprensiva di tutte le attività che lo studente deve espletare per il conseguimento del titolo di studio, ivi compreso l’imprescindibile studio individuale.

Da ultimo, a maggior sostegno della nostra tesi, si consideri che ostacolare l’accesso alle Università telematiche nei confronti di studenti lavoratori, non riconoscendo loro i permessi retribuiti, rappresenterebbe un notevole disincentivo per tale particolare categoria di studenti, con un evidente danno per tali Atenei che, come è noto, sono sorti ed espletano un’importante attività di istruzione e formazione (riconosciuta e sostenuta anche dall’Unione Europea) proprio per categorie di studenti che, per vari motivi, ma soprattutto a causa del lavoro o per la loro condizione di differentemente abili, non possono frequentare in loco, ma soltanto a distanza. Del resto, anche la citata circolare n. 12/2011 ha sottolineato che non si rinvengono “preclusioni alla fruizione del permesso [di studio] da parte dei dipendenti iscritti alle università telematiche”.

Non solo, il danno si realizzerebbe per tutte le Università. Infatti, il CSA della CISAL Università, quale Organizzazione sindacale rappresentativa nel comparto università, ha sempre sostenuto che l’interesse ad avere collaboratori sempre più istruiti e dunque formati e qualificati sia, innanzitutto, proprio delle Università e, pertanto, quale organo del sindacato, non possiamo accettare interpretazioni che ostacolano e perciò limitano la formazione e la qualificazione professionale del personale del comparto.

A sostegno di tali ultime considerazioni, la più volte citata circolare n. 12/2011 del Dipartimento della Funzione pubblica espressamente sostiene che, nell’attuale quadro generale di innovazione, per le pubbliche amministrazioni, “assume grande rilievo l’acquisizione, attraverso la formazione e l’aggiornamento continuo, di strumenti culturali e professionali atti ad aumentare la capacità dell’organizzazione di fornire risposte tempestive e flessibili rispetto al cambiamento” e che importante strumento in tal senso è rappresentato “dalla formazione universitaria”.

Restiamo, comunque, a disposizione della Segreteria Nazionale e delle Sedi per qualsiasi, eventuale, ulteriore chiarimento.

17 ottobre 2011
L’Ufficio Studi 
CSA della Cisal Università Nazionale

 
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