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COMUNICATO STAMPA CISAL - Cavallaro: dalla Fornero alla Legge di Stabilità, prove tecniche di demolizione dello stato sociale

Salerno, 21 novembre 2015 – “Seicentomila posti di lavoro in più? Ma come è possibile, se il numero dei disoccupati aumenta?”. Al Segretario Generale della CISAL, la Confederazione Italiana Sindacati Autonomi Lavoratori, Francesco Cavallaro, è sufficiente un semplice calcolo per mettere a nudo i numeri farlocchi della crescita occupazionale del Governo Renzi. Numeri condivisi ieri con i vertici del sindacato - fondato nel 1957, che con quasi due milioni di iscritti è il primo sindacato autonomo italiano e il quarto in assoluto -, nel salone delle conferenze del Grand Hotel Salerno, in apertura dei lavori del Consiglio Nazionale. L’ha ripetuto oggi ai numerosi giornalisti che hanno partecipato alla conferenza stampa sul tema “Dalla Fornero alla Legge di Stabilità, prove tecniche di demolizione dello stato sociale”.

 

Fino a domani, infatti, Salerno
ospita il Consiglio Nazionale che dal Sud rilancia il tema congressuale (“Il lavoro che non c’è”), sei mesi dopo l’assise di Rimini, puntando l’indice su errori, ritardi e promesse non mantenute dal Governo Renzi. “Quei seicentomila posti di lavoro – spiega Cavallaro – non sono altro che il frutto della trasformazione dei contratti a termine in contratti a tempo indeterminato, beneficiando degli sgravi contributivi per le aziende, con il risultato – devastante – di mandare a casa chi un lavoro stabile ce l’ha, ma oggi non serve perché è molto più comodo dare la caccia a quanti possiedono i requisiti che consentono di non pagare i contributi per tre anni”.

Cavallaro non usa mezzi termini quando parla del più drammatico dei problemi, “perché senza lavoro non esistono dignità e libertà”. Il lavoro è, infatti, al centro dell’azione sindacale della Cisal “garantita dall’autonomia, dalla libertà, dalla solidarietà e dalla partecipazione” che anima il sindacato che boccia “i numeri impietosi del sistema Renzi” e “l’assurdo atteggiamento del premier che aveva promesso 12 riforme in due anni. La realtà – insiste Cavallaro – evidenzia, invece, un malessere sociale profondo che sta spingendo le famiglie sotto la soglia della povertà.

Su temi centrali come le riforme costituzionali, il mondo del lavoro (per cortesia non continuiamo a chiamarlo welfare, chiosa il segretario), giustizia, scuola e pubblica amministrazione, non è stato fatto nulla, quantomeno di rilevante. A partire da una seria riforma del fisco, ovvero dando a tutti i cittadini la possibilità di scaricare alcune spese quotidiane: l’unica chiave di volta per costringerli a pretendere il rilascio di scontrini e ricevute fiscali. Insomma, la Cisal ricorda che “una politica delle riforme, per essere credibile, non può basarsi esclusivamente su obiettivi di risparmi e di tagli, ma deve ricercare risorse economiche indispensabili per gli investimenti, quindi per il rilancio dell’economia reale, dei consumi, dei redditi e del lavoro”.
 Consapevole che in terzo del Pil sfugge a qualsiasi controllo, sottraendo circa 180 miliardi annui all’erario, il Governo avrebbe, quindi, dovuto dare priorità ad una riforma fiscale che consentisse, oltre ad una vera lotta all’evasione, alla corruzione ed al sommerso, di rimodellare il proprio assetto organizzativo per renderlo funzionale al perseguimento delle proprie scelte politiche”.

Altro che riforme serie. Non sottovalutiamo, ad esempio, il depotenziamento di alcuni servizi fondamentali: dallo scorporamento del servizio ispettivo dell’Inps alla riforma delle Province che, di fatto, invece che produrre risparmi, ha sottratto ai cittadini il diritto di eleggere direttamente i propri rappresentanti. Le emergenze del nostro Paese sono sotto gli occhi di tutti: sicurezza, disoccupazione, scuola, pubblico impiego.

Altro capitolo, il “tentativo del Governo di delegittimare il ruolo del Sindacato in una Repubblica fondata sul lavoro e sulle garanzie costituzionali della democrazia sindacale e della partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese, vera garanzia della democrazia economica”.
 Se appare “più che mai necessario valorizzare la contrattazione ripartendo dal Paese reale, anche attraverso la formazione dei giovani, vero motore del cambiamento sociale”, rimane, infatti, “preoccupante la mancata soluzione delle grandi questioni, a partire dal critico rapporto con la Pubblica Amministrazione, mai completamente attuate o addirittura attuabili, nonché la sempre più ridotta disponibilità di risorse economiche per la copertura del welfare, così come per il sostegno di ogni altra seria riforma”.
Rilevante e strategico per la Cisal è, inoltre, “un welfare esclusivo che favorisca i processi di coesione nel Paese (sostegno al reddito, sanità, scuola e formazione, servizi alle fragilità e alla non autosufficienza)”.

Battersi, insomma, per “un nuovo assetto normativo per dare serenità a tutti quei lavoratori vittime di una legge profondamente ingiusta, soprattutto alla luce della bocciatura della «legge Fornero» da parte della Consulta; rendere effettiva la separazione tra assistenza e previdenza per una gestione trasparente dei contributi quale «salario differito» di esclusiva proprietà dei lavoratori; rivedere il sistema della flessibilità in uscita (con particolare attenzione al problema degli esodati; rendere più efficace il meccanismo di perequazione delle pensioni; eliminare ogni odiosa discriminazione, soprattutto fiscale, tra fondi complementari pubblici e privati, per dare piena attuazione alla delega, a suo tempo, conferita al Parlamento recuperando, così, il danno ingiustamente causato dal colpevole ritardo del Governo”. A proposito di pensioni, il rapporto stipendio/pensione da circa il 70% passerà (è la stima per i prossimi 15/20 anni) al 43%: un disastro che produrrà un esercito di poveri. In pratica, chi percepisce 1000 euro di stipendio potrà contare su 430 euro di pensione e, beffa delle beffe, non è prevista alcuna integrazione al minimo. Paradossalmente sarà più conveniente optare per la pensione sociale di 480 euro”.

Ufficio stampa cisal

 
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