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1° maggio festa del non lavoro, dei diritti negati; della parabola sindacale:

Parabola non intesa in senso letterario ma come figura geometrica, e sotto certi aspetti, anche come  racconto che dovrebbe dare un insegnamento morale.

Che i diritti dei lavoratori abbiano quasi raggiunto la fine discendente della parabola è sempre più evidente, un declino che è iniziato molti anni fa quando i vertici delle maggiori confederazioni sindacali collaterali ai partiti dominanti inventarono la cosiddetta “concertazione”. In pratica dalla fine degli anni 80 con la perdita di democrazia interna ed un’organizzazione verticistica, barattò gli interessi dei lavoratori con quelli del sindacato sempre più governato da una casta di politici mascherati da sindacalisti che spesso e volentieri hanno anche materialmente transitato poi tra le file di questo o quel partito assumendo  anche responsabilità dirette di governo.

 

Il dissolvimento dei diritti dei lavoratori ha raggiunto l’apice quando la casta dei sindacalisti-politici, proprio in questi anni, ha quasi raggiunto la massima occupazione del potere a tutti i livelli, non solo nel parlamento e nel governo nazionale ma anche nelle regioni, nei comuni, nelle province ed in tutti gli enti, banche, partecipate, municipalizzate etc…

In pratica il lavoratore “globalizzato” odierno si ritrova come all’inizio della  parabola quando essa ancora non era cominciata ma con il rischio che questa ora sia rovesciata, cioè che proseguendo lungo essa si continui ad andare in fase sempre più discendente in cui lo sfruttamento della forza lavoro e l’assenza di diritti saranno forse  l’unica regola certa.

Il lavoro sta diventando  nuovamente una merce soggetta ad un’unica regola, il mercato, in pratica un ritorno allo schiavismo, visto che il lavoratore non è più una persona ma, appunto, merce.

Com’è noto le regole nel mondo del lavoro, almeno fino a qualche anno fa, erano dettate da accordi bilaterali (CCNL) che ciclicamente venivano contrattati tra le parti, datoriale e sindacale in rappresentanza dei lavoratori, ma dal 2009 è stata sospesa, unilateralmente e senza troppi mugugni da parte delle maggiori confederazioni, per cui le regole non derivano più dai contratti bensì da leggi, anzi, nella maggior parte dei casi da decreti legge che non vengono neppure discussi in Parlamento.

Il refrain più ricorrente in questi anni è stato “ c’è chi ha troppi diritti e chi nessuna tutela ! ”, cosa fare quindi ? Semplice, chiamare in aiuto la casta politico-sindacale che deve adoperarsi per fare digerire ai lavoratori una politica economica di sacrifici economici e minori tutele, facendoli diventare una variabile legata al sistema economico globale, insomma livellare sì ma verso il basso.

Capita anche che le poche regole ancora rimaste in piedi siano non più fruibili dal lavoratore, che pur di uscire dalla disperazione data dalla disoccupazione, accetta di derogare dalle norme ancora vigenti, ciò avviene sia nel privato che nel pubblico impiego, in buona sostanza si tratta ormai solo di tutele apparenti.

Anzi, nel pubblico impiego, per intenderci, - i servizi al cittadino - ,  accade ormai in modo quasi sistematico, non solo il blocco dei CCNNLL, ma anche nessun rispetto per il limite massimo di ore settimanali, di una remunerazione che viola apertamente l’art. 36 della Costituzione i cui dettami sono infranti già fin dall’art. 1 "L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro" ed a seguire con l’art.  4 "La Repubblica riconosce a tutti i cittadini  il  diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto".

La Corte costituzionale, e cioè proprio l'organo che deve verificare la corrispondenza delle leggi ordinarie con i principi costituzionali ha invece sentenziato in favore di alcune categorie di lavoratori super privilegiati, negando però lo stesso diritto ad altri lavoratori meno fortunati che pur si trovano nella stessa condizione giuridica, certamente non economica, insinuando nel comune cittadino l’idea che la legge non è uguale per tutti.

Lo Statuto dei lavoratori, approvato nel maggio del 1970, che dava ad ogni lavoratore dignità e consapevolezza dei propri diritti è diventato ormai carta straccia in quanto svuotato di contenuti concreti per il lavoratore e non più vincolanti per la parte datoriale, non a caso il comportamento antisindacale non è più sanzionato se non in casi eccezionali.

L’errore più grande delle grandi confederazioni, oltre all’evidente commistione con la politica è stato quello di voler  sostenere un ruolo improprio come rappresentanti dei lavoratori nel momento in cui iniziarono a  farsi  carico della "compatibilità economica" e del "quadro di insieme", rinunciando di fatto alla tutela ed a quel punto iniziarono quindi a comparire termini quali, flessibilità, contratti a termine, contratti a progetto, formazione lavoro,  etc.., accettando in pratica una precarizzazione del rapporto di lavoro.

L’incertezza del diritto nel mondo del lavoro, compreso il pubblico impiego, trova ancor più conferma, per esempio in ambito universitario laddove, con la modificata norma sui trasferimenti d'azienda, si consente il trasferimento di pezzi limitati dell'azienda e quindi di singoli, o gruppi di  lavoratori da una società all'altra senza alcun limite e senza il loro consenso, come nel caso dell’università di Catania che ha trasferito un ramo d’azienda, in questo caso l’attività  assistenziale svolta dalla facoltà di medicina, personale compreso,  ad altra azienda modificandone di fatto anche lo stato giuridico.

La forma flessibile ed elastica del rapporto di lavoro, anche nel pubblico impiego,  è così nei fatti anche per chi è a tempo indeterminato,  assistiamo quindi a modifiche della ripartizione settimanale e giornaliera dell'orario di lavoro comunicate dal datore di lavoro giorno per giorno o addirittura attimo per attimo anche senza il consenso del lavoratore, al quale può essere persino negato il diritto alle ferie, adducendo motivi di servizio, in pratica carenze d’organico causate a loro volta dal blocco del tur-over deciso unilateralmente sempre dalla parte datoriale.

In pratica, tutto ciò che non è  abolito  è stato reso derogabile, ad eccezione del sempre più ristretto numero di principi di tutela comuni a tutti i lavoratori, con motivazioni non confutabili, in quanto in massima parte tutto ciò che regola il rapporto di lavoro non è più contrattabile né dal singolo né tantomeno dal sindacato.

La posta in gioco oltre la dignità, c’è la libertà del lavoratore e la sovranità stessa del popolo che si vede scippare, come lavoratore prima e come cittadino poi, della libertà di scelta dei propri rappresentanti a tutti i livelli sia politici che sindacali, proprio perché le due forme di “potere” sono funzionali l’uno all’altra.

L’autonomia sindacale, osteggiata, temuta e combattuta a tutti i livelli, proprio perché non governabile dalla politica e poco permeabile ad essa, è l’unico strumento attraverso il quale i lavoratori possono tornare ad essere protagonisti del loro futuro, oltre che di quello del Paese, e noi abbiamo l’obbligo morale di renderci parte attiva di questo progetto risvegliando loro la coscienza e la consapevolezza di poterlo fare.

Nel nostro piccolo lo faremo nell’ambito del comparto università, sperando di contagiare anche altri più grandi di noi.

Roma, 1 maggio 2014

Arturo Maullu

Segretario Generale

CSA della CISAL Università

 
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