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CISAL: Corte Costituzionale, Pensioni e Pubblico Impiego, l'ultima tragicommedia all'italiana

Francesco Cavallaro, Segretario Generale CISAL

"Pubblico impiego. Si riapre la stagione contrattuale. Evitato il rischio di effetti retroattivi che sarebbero costati ai bilanci dello Stato 35 miliardi di euro". Questo, in sintesi, il tenore dei titoli apparsi sui media all'indomani della sentenza con cui il 24 giugno scorso la Corte Costituzionale, su ricorso della FIALP CISAL, ha dichiarato illegittimo il blocco della contrattazione, disposto con legge dai diversi Governi succedutisi dal 2010 in poi e prorogato, sempre con legge, dal Governo attuale.Lo ricorda Francesco Cavallaro, Segretario Generale della CISAL, richiamando le analogie con la sentenza della Corte di qualche settimana prima in merito all'illegittimità costituzionale di un altro blocco, quello della perequazione delle pensioni di importo lordo superiore a tre volte il minimo INPS, per gli anni 2012 e 2013. In attesa di approfondire le motivazioni della seconda decisione, prosegue il Segretario, alcune amare considerazioni possono già essere anticipate. La prima, spiega il Segretario, sulla cautela molto discutibile con cui la Corte ha dichiarare illegittimo il blocco della contrattazione nel pubblico impiego, ma soltanto da data successiva alla pubblicazione della sentenza. Come se ad essere illegittimo non fosse il blocco, ma la durata dello stesso! Leggeremo le motivazioni, naturalmente, rassicura Cavallaro, ma emerge più che evidente quanto abbia inciso sulla decisione lo "spauracchio" dei conti pubblici sollevato, guarda caso, pochi giorni prima dalla Corte dei Conti, che si era precipitata a precisare che il rispetto delle cadenze naturali dei contratti avrebbe comportato per il Paese una spesa di ben 35 miliardi di euro.

A parte ogni intuibile deduzione sulla più che sospetta tempestività di un Organo dello Stato perennemente in ritardo nell'esercizio della sua pur importante funzione di controllo, resta il fatto che è stata ufficialmente certificata in 35 miliardi la perdita subita dal Pubblico Impiego per il blocco illegittimo della contrattazione.

Ovvio che di tale perdita non potrà non tenersi conto nella sede contrattuale ripristinata per sentenza!

La seconda considerazione, continua il Segretario, non può non riguardare il decreto legge - improvvido ad avviso tanto della CISAL, quanto di insigni costituzionalisti - con il quale il Governo si è affrettato a "interpretare" - meglio sarebbe dire "manipolare" - la sentenza sull'illegittimità del blocco 2012 e 2013 della perequazione delle pensioni, limitandone gli effetti, peraltro in termini assolutamente parziali, solo alle pensioni di importo lordo fino a sei volte il minimo INPS.

Il decreto è in fase di conversione in questi giorni, senza che il Parlamento, ammesso che lo voglia, riesca a correggerne i termini e a renderli coerenti con la sentenza della Corte che, va rimarcato, annullando la legge di blocco, ha di fatto ridato vita alla legge previgente.

La terza considerazione, certamente non meno grave, prosegue Cavallaro, attiene al fatto che sembra ormai farsi strada, nel nostro ordinamento e nel silenzio assordante del Parlamento e non solo, una sorta di "nuovo" principio in base al quale i diritti vanno accuratamente distinti: nulla quaestio per quelli che non comportano conseguenze di carattere economico; se invece rispettarli dovesse comportare una qualche ricaduta sui conti pubblici, allora stop.

Vanno "reinterpretati", "ridimensionati", "adattati", "stravolti", se necessario, pur di negarne o limitarne al massimo, nella migliore delle ipotesi, ogni effetto sugli equilibri di bilancio. Cosa che sta awenendo con il decreto legge sulla mancata perequazione 2012 e 2013, per cui il Governo concederebbe una sorta di una tantum per i due anni in questione e un effimero incremento di pochi euro, a scalare, per quelli successivi.

Sempre comunque limitatamente alle pensioni non superiori a 4, 5, 6 volte il minimo (stiamo parlando, udite, udite, di netti che vanno da 1.500 a poco più di 2.000 euro!).

E che dire, continua il Segretario della CISAL, della sconcertante vicenda dei Pubblici Dipendenti? Dopo aver enfatizzato per anni lo "storico" risultato di essere riusciti a "contrattualizzare" il loro rapporto di lavoro, il Governo costringe una Organizzazione Autonoma (forse non poteva essere diversamente!), la nostra FIALP, a citare in giudizio il datore di lavoro pubblico che, a differenza del privato, abusando del proprio potere, ha bloccato unilateralmente con legge la contrattazione.

Ma la Corte Costituzionale, giudice delle leggi, ne dichiara l'incostituzionalità. In un Paese normale, il problema sarebbe risolto.

Così non è per noi, commenta con rammarico Cavallaro.

Interviene infatti il Ministro dell'Economia e ricorda a tutti che, è vero, il contratto del pubblico impiego è scaduto nel 2009, ma un decreto legislativo (n. 150/2009, la famosa legge Brunetta, chiaro il rinvio di prammatica alla responsabilità di altro Governo!) ha sancito che i Comparti di contrattazione non possono essere più di quattro. Ed allora, a parte la necessità di attendere il deposito della sentenza della Corte che dovrebbe avvenire entro venti/trenta giorni - ma, siamo in Italia, potrebbe anche slittare a dopo le ferie estive (sic!) -, bisognerà pregiudizialmente definire i nuovi Comparti entro il prescritto numero di quattro.

In altre parole, al di là della sentenza che pure ha "graziosamente" evitato effetti retroattivi, il Ministro dell'Economia (non quello della Funzione Pubblica) lascia chiaramente intendere che passeranno ancora mesi. Non solo, sempre lo stesso Ministro ha voluto far di conto e, citando sia la Legge di Stabilità, sia eventuali manovre di assestamento di bilancio ed altrettanto eventuali maggiori entrate fiscali a copertura dei costi contrattuali, insomma tirando le somme, ha concluso che un dipendente pubblico con uno stipendio di 1.500 euro netti avrebbe diritto ad un incremento di 9, 17, 20 e 23 euro rispettivamente per lo scorcio del 2015 e i successivi 2016, 2017 e 2018! Senza escludere, peraltro, ha precisato il suddetto Ministro con puntualità degna di miglior causa, che quegli aumenti potrebbero escludere gli 80 euro, ove percepiti.

Se non fosse tragica, la situazione si tingerebbe di comico, conclude Cavallaro, non trascurando di rilevare come, quando si trattava di spaventare la Corte Costituzionale, i costi dei contratti sarebbero stati di 35 miliardi di euro (per i 5 anni 2010/2015) mentre per i 3 e mezzo a venire dovrebbero valerne 3,6 miliardi. C'è qualcosa che non va, purtroppo.

Roma 09.07.2015 A cura del Centro Studi CISAL

 
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