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CISAL - IL SISTEMA FISCALE ALLA PROVA DELL’EQUITÀ DISTRIBUTIVA

Tratto da ‘’Una nuova politica economica per il benessere del Paese’’ Fonte CISAL

Come avvertono anche Banca d’Italia e Corte dei Conti, pensioni povere, anche a causa delle nuove norme sul TFR, e qualità dei servizi a rischio, non garantiscono equità  distributiva. La manovra targata Renzi, che dopo le trattative con l’Unione europea è scesa da 36 a 32 miliardi come certificano i magistrati contabili, non spinge la crescita e produce dei benefici solo marginali. Gli spazi di azione per la politica economica restano angusti.Anche la Commissione europea ha espresso le sue perplessità, dichiarando che alcune coperture non sono adeguate. Ad esempio, le entrate dalle tasse sui giochi (da cui il Governo si attende circa un miliardo) sarebbero sovrastimate e la perdita di gettito associata ai provvedimenti a favore dei lavoratori autonomi sottostimata.Disuguaglianze e sviluppo economico sono riconosciuti a livello internazionale come inversamente proporzionali. Sono proprio le carenze distributive dipendenti dall’uso distorto dello strumento fiscale a deprimere la crescita, perché riducono i consumi e la produttività, mentre rendono il sistema nel complesso meno efficiente.

Del resto, una manovra finanziaria di tipo recessivo non può ovviare a questo problema.

Anche secondo le previsioni economiche d’inverno della Commissione europea, l’atteso aumento dei redditi delle famiglie - dovuto al calo dei prezzi dell’energia - non si tradurrà in consumi più elevati. Nel 2015 l’aumento della crescita sarà “sostenuto solo lievemente da un miglioramento della domanda interna”, e sarà dovuto soprattutto all’aumento delle esportazioni”.

A garanzia degli effetti recessivi della manovra, la Legge di Stabilità 2015 ipotizza anche una clausola sulle aliquote IVA e sulle altre imposte indirette per un ammontare di 12,4 miliardi per il 2016, 17,8 per il 2017 e 21,4 per il 2018. Gli effetti di tale clausola genererebbero una perdita di PIL pari allo 0,7% a fine periodo dovuta da una contrazione complessiva dei consumi e degli investimenti del 1,3%.

Come fanno rilevare vari economisti di fama internazionale, partendo da una seria spending review, il Governo avrebbe potuto ovviare a questi rischi,individuando l’1% di PIL di sprechi veri e destinando le risorse recuperate non ai bonus fiscali ma ad 1% di PIL di investimenti pubblici in più.

Con i moltiplicatori stimati di recente dal Fondo Monetario Internazionale, i maggiori investimenti avrebbero generato un +1,2% di PIL per il 2015, lasciando il deficit su PIL al di sotto del 3% ed il debito su PIL in calo invece che, come annunciato, sempre in aumento.

La CISAL si chiede, comunque, che fine abbia fatto la spending review di Carlo Cottarelli. In particolare, perché il Governo non ne abbia data piena accessibilità e soprattutto perché non abbia fornito i motivi che lo hanno indotto a non adottare, a rinviare o a cassar addirittura i provvedimenti suggeriti dopo uno studio durato mesi e pagato con i soldi pubblici. Ad esempio, sui costi delle municipalizzate? Eppure l’Italia avrebbe veramente bisogno di una seria spending review anche se, come insegna l’esperienza del Regno Unito, per essere attuata richiedesse 4 o 5 anni.

La gestione ai fini anticongiunturali di una politica fiscale, già di per sé fortemente squilibrata, è divenuta così sempre più difficile. Andrebbe, invece, ripensato l’intero sistema fiscale e il ruolo dello Stato impositore nel senso di una maggiore giustizia distributiva e, quindi, di un più equo riparto della ricchezza ai sensi degli artt. 53 e 3 della Costituzione.

In un mondo così disuguale come il nostro, la giustizia distributiva è il principale strumento con cui lo Stato può correggere, nel rispetto del principio di capacità contributiva, le distorsioni e le imperfezioni derivanti dalla maggiore o minore disponibilità dei beni della vita. È da tale correlazione - espressa nella Costituzione italiana dalla formula dell’art. 53 («ciascuno concorre alle pubbliche spese in ragione della propria capacità contributiva») - che trae origine il corollario per cui le imposte che siano rispettose del principio di uguaglianza e non intacchino il minimo vitale non possono rappresentare un disvalore sociale in sé.

Esse si considerano alte o basse, opportune o meno, non in assoluto, ma in funzione della loro giusta distribuzione e della qualità, del gradimento e dell’efficacia della spesa  pubblica e sociale con esse finanziata.

E se, come avviene ora, la pressione tributaria è troppo  alta, ciò dipende dall’elevatezza e, insieme, dall’inefficienza della spesa pubblica o, meglio, dall’incapacità del potere pubblico di fornire correttamente servizi pubblici a un costo accettabile.

In questo senso, anche il meccanismo di alimentazione del Fondo per la riduzione della pressione fiscale non  consente di definire con certezza l’ammontare delle risorse anno per anno disponibili e rischia pertanto di ridurne sensibilmente l’efficacia rispetto agli obiettivi prefissati.

Si rende quindi necessario che le risorse destinate alla riduzione delle tasse siano definite da subito in percentuale su quanto in totale recuperato dalla revisione della spesa pubblica e dalla lotta all’evasione fiscale, facendole confluire automaticamente nel fondo.

In tal modo si libererebbero risorse per il finanziamento di interventi strutturali di riduzione della pressione fiscale su lavoratori dipendenti e pensionati.

Per recuperare gradualmente quel minimo di progressività che la globalizzazione ha concorso a mettere in crisi, le vie percorribili sono sempre le stesse e, almeno allo stato attuale, abbastanza impervie, ma non impossibili.

 
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