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CISAL - TASSAZIONE, RENDIMENTI, FONDI PENSIONE E TFR

Tratto da ‘’Una nuova politica economica per il benessere del Paese’’ Fonte CISAL

Il testo definitivo della Legge di Stabilità per il 2015 vede confermato l’aumento del prelievo fiscale sui fondi pensione, le polizze vita, le casse di previdenza dei professionisti e i rendimenti del TFR. Per quanto riguarda, nello specifico, i fondi di previdenza complementare, l’aliquota della tassazione annua dei rendimenti è stata incrementata dall’11,5% al 20% con effetto retroattivo dal 2014. Il Governo ha voluto inserire nella Legge di Stabilità un correttivo per quei fondi che s’impegnino in investimenti infrastrutturali. A questo scopo, è stato previsto il credito di imposta del 9% e del 6%, rispettivamente, ai fondi pensione e alle casse di previdenza, calcolati sui rendimenti degli investimenti effettuati in economia reale.

Tale misura, nelle intenzioni del Governo, dovrebbe andare a compensare l’aumento della tassazione al 20% con effetto retroattivo dal 2014. L’operazione è molto discutibile.

Detassare solo gli investimenti scelti dal Governo, infatti, è una forma odiosa di interventismo. e si dovessero esentare i soli investimenti in Italia, si andrebbe a rischio di infrazione delle regole europee. Preoccupa, inoltre, la filosofia sottostante: in pratica il Governo sembra convinto che aumentando i costi nell’allocazione del risparmio, si finisca per stimolare i consumi.

Anche sull’insieme del provvedimento relativo al TFR in busta paga la Legge di Stabilità produce sostanzialmente una vera e propria ingiustizia, sottoponendolo a tassazione ordinaria e non alla tassazione separata propria del trattamento di fine rapporto. Si tratta, inoltre, di un provvedimento che incide sugli accantonamenti di previdenza complementare con ripercussioni sui trattamenti futuri.

C’è poi da sottolineare che i prestiti concessi dalle banche alle imprese per liquidare il TFR maturando, come da accordo con l’Abi, dovranno essere restituiti entro quattro anni. Si rischia così di mettere le imprese di fronte a stringenti problemi di liquidità fra quattro anni, quando saremo in un’altra legislatura.

È sospetto, in fine, il fatto che tale possibilità non sia stata prevista per i dipendenti pubblici, evidentemente perché il datore di lavoro pubblico è un “debitore legalizzato” che accumula solo “virtualmente” il TFR dei propri dipendenti. Resta comunque il fatto che, se nella visione del Governo la decisione di autorizzare il prelievo del proprio TFR costituisce un vantaggio per i lavoratori, l’esclusione del comparto pubblico rappresenta una nuova pesante discriminazione per un settore già escluso dalla riforma della previdenza complementare attuata con il d.lgs. n. 252/05.

E’ bene ribadire, in proposito, che i contributi del trattamento di fine rapporto sono soldi dei lavoratori, retribuzione differita che in realtà è una forma di “risparmio forzoso”. Astraendo da considerazioni relative alla mancanza di liquidità delle imprese e dalla presunta neutralità per le casse dello Stato, vale la pena chiedersi se trasferire il TFR in busta paga rappresenti un vantaggio per le famiglie e per la collettività.

A differenza degli 80 euro in busta paga, non si tratta di nuove risorse per le famiglie, ma semplicemente di un trasferimento dal domani all’oggi. Per questo appare incomprensibile che l’anticipo del TFR sarà computato nell’imponibile e nei calcoli dell’indicatore Isee, in cui confluiranno anche conti correnti e depositi bancari, modificando di fatto la platea di beneficiari di servizi aggiuntivi gratuiti come nidi e università.

Il lavoratore che opta per il TFR in busta paga, poi non potrà cambiare idea fino a giugno 2018, perderà i rendimenti sul proprio montante presso il fondo oltre alla quota di contributo obbligatorio per la previdenza integrativa da parte del datore di lavoro.

Inoltre, diversi dubbi ci sono anche rispetto alla previsione che aumentando le possibilità di scelta dei lavoratori/consumatori migliori anche il benessere della collettività. Le stime più ottimistiche parlano di un incremento dei consumi dello 0,8%.

I dati dell’Indagine della Banca d’Italia indicano anche che è probabile che il maggior incremento dei consumi si verificherà nelle regioni meridionali, dove la percentuale di famiglie potenzialmente interessate all’anticipazione del TFR è sensibilmente maggiore di quella delle regioni centro-settentrionali.

Le prevedibili conseguenze della riforma saranno quindi che circa il 10% dei dipendenti del settore privato, oltre un milione di famiglie, con prevalenza di famiglie a basso reddito, giovani e residenti nelle regioni meridionali, potrebbe decidere di incrementare il proprio consumo, in linea con il proprio reddito vitale. Quindi l’effetto sulla crescita del PIL si manifesterebbe solo il primo anno di applicazione della riforma, e non negli anni successivi. Nonostante - come la teoria suggerisce - sono i giovani a essere più fortemente affetti da problemi di vincoli di liquidità, osserviamo che tutti i lavoratori parasubordinati sono esclusi perché non hanno TFR.

Restano i lavoratori dipendenti a tempo determinato e a tempo indeterminato. Sembra logico ipotizzare che i lavoratori con contratti a tempo determinato non incidano nel calcolo, perché ricevono già il loro TFR a ogni episodio di separazione dall’azienda.

Restano quindi 1,6 milioni di lavoratori con età inferiore ai 29 anni e circa 4,7 milioni con età inferiore ai 39 anni, su un totale di circa 14,4 milioni di lavoratori del settore privato.

Non è chiaro quindi quanto sia esteso, in termini di “teste” questo 50% di adesioni previste dalla Legge di Stabilità. Sembra probabile, comunque, che la platea dei potenziali interessati sia di 1,6 milioni di lavoratori, neanche il 20% di quelli a tempo indeterminato. È ancora meno chiaro se tutti gli 1,6 milioni saranno interessati ad aderire: la fiscalità è neutrale solo per coloro che si trovano sotto la soglia dei 15mila euro annui di retribuzione.

In altre parole, come già ampiamente discusso da diversi economisti, i redditi risultanti dal TFR in busta paga saranno tassati a una aliquota marginale del 23% (la stessa che siapplica sul TFR ricevuto alla fine dell’attività lavorativa) solo sotto la soglia dei 15mila euro.

Le retribuzioni medie lorde dei lavoratori dipendenti (a tempo indeterminato o determinato) ammontano a circa 19 mila euro annui per le fasce di età inferiori ai 29 anni e circa 25mila euro per le fasce di età inferiori ai 39 anni, e crescono in maniera significativa al crescere dell’età. Quindi è probabile che, se non ci saranno cambiamenti nella fiscalità, solo i più giovani (con redditi sotto la media del gruppo) saranno interessati alla misura: una parte non trascurabile dei giovani lavoratori potrebbe non aderire perché non conveniente.

La manovra interviene poi anche sulla tassazione della rivalutazione del TFR lasciato in azienda: dal 2015 passa dall’11% al 17%. Un provvedimento che, unito alla situazione di deflazione attuale, avrà ripercussioni forti sugli accantonamenti di TFR.

Se al TFR in busta paga si somma l’accresciuta tassazione dei fondi pensione italiani nella fase di accumulo (dall’11,5 al 20% ) si sta definitivamente chiudendo la strada alla previdenza integrativa. Il che significa, per essere chiari, che la collettività dovrà poi farsi carico in qualche modo delle situazioni di povertà che potranno emergere in futuro.

Se si voleva dare un segnale forte nella riduzione della pressione fiscale questo provvedimento è del tutto sbagliato. Preoccupa, inoltre, la completa esclusione del pubblico impiego. Per altro, per l’ennesima volta si adotta un provvedimento così penalizzante con effetto retroattivo e in deroga allo Statuto dei Diritti del Contribuente: una cosa gravissima che viola i principi di trasparenza e il patto tra cittadino e amministrazione fiscale. Fonte Cisal

 
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