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Ufficio Studi - Contratti a termine: Commento a due sentenze della Corte di Giustizia Europea

Ufficio Studi - Contratti a termine: Commento a due sentenze della Corte di Giustizia Europea

NON TRASFORMAZIONE DEI CONTRATTI A TERMINE
NEL PUBBLICO IMPIEGO

Commento a due sentenze della Corte di Giustizia Europea sui contratti a termine: 
I^. Corte di Giustizia CE (Sezione seconda) - Sentenza del 7 settembre 2006, Proc. C-53/04.

II^. Corte di Giustizia CE (Sezione seconda) - Sentenza del 7 settembre 2006, Proc. C-180/04.

IL CASO
Un cuoco prestante servizio alle dipendenze di una Azienda Ospedaliera pubblica in forza di due successivi contratti di lavoro a tempo determinato si presenta sul posto di lavoro al termine del secondo contratto e viene informato di essere stato formalmente licenziato per scadenza del termine fissato nel contratto. Ritenendo che la successione di più contratti a termine nel medesimo rapporto di lavoro avesse fatto sorgere in suo favore i diritti derivanti da un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, impugna la decisione innanzi al Giudice del Lavoro di Genova chiedendo a quest'ultimo di dichiarare, sulla base del D. Lgs. 368/2001 (legge sui contratti a termine che prevede all'art. 5 la conversione del rapporto a termine in rapporto a tempo indeterminato quando le assunzioni si succedano senza soluzione di continuità) la sussistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con l'Azienda Ospedaliera e di condannare l'Azienda stessa al pagamento delle retribuzione dovute e del risarcimento del danno subito.

L'Azienda Ospedaliera resiste in forza del disposto dell'art. 36 del D.Lgs. 165/2001 (testo unico del lavoro nelle pubbliche amministrazioni) che vieta alle pubbliche amministrazioni di stipulare contratti di lavoro a tempo indeterminato (L'art. 36 del D.Lgs. titolato "forme contrattuali flessibili di assunzione e di impiego del personale" sancisce che:

1. Le pubbliche amministrazioni nel rispetto delle disposizioni sul reclutamento del personale di cui ai commi predenti, si avvalgono delle forme contrattuali flessibili di assunzione e di impiego del personale previste dal codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell'impresa. I contratti collettivi nazionali prevedono a disciplinare la materia dei contratti a tempo determinato, dei contratti di formazione e lavoro, degli altri rapporti  formativi e della fornitura di prestazioni di lavoro temporaneo.

2. In ogni caso la violazione di disposizioni imperative riguardanti l'assunzione o l'impiego dei lavoratori, da parte delle pubbliche amministrazioni, non può comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato con le medesime pubbliche amministrazioni, ferma restando ogni responsabilità e sanzione. Il lavoratore interessato ha diritto al risarcimento del danno derivante dalla prestazione di lavoro in violazione di disposizioni imperative. Le amministrazioni hanno l'obbligo di recuperare le somme pagate a tale titolo nei confronti dei dirigenti responsabili, qualora la violazione sia dovuta a dolo o colpa grave".)
Il Giudice decide di sospendere il giudizio e sottoporre la questione alla Corte di Giustizia.
La questione finisce per assumere un'importanza straordinaria e la decisione della Corte diventa attesissima in tutto il territorio nazionale perché, com'è ormai tristemente noto, spetta alle pubbliche amministrazioni il primato della stipulazione del maggior numero dei contratti a termine che, uno dopo l'altro, vanno a nutrire inesorabilmente un precariato che non finisce mai in tutti i comparti della pubblica amministrazione, con picchi inestimabili nei comparti scuola ed università (si legga anche Aziende Ospedaliere Universitarie).

I PRECEDENTI
Sull'evidente differente trattamento riservato in caso di inosservanza della normativa sui contratti a termine al datore di lavoro pubblico (art. 36 D.Lgs. 165/2001) rispetto al datore di lavoro privato ( art. 5 D.Lgs 368/2001)  era stata già chiamata i n causa la Corte Costituzionale che con la sentenza del 27 marzo 2003 n. 89 ha respinto la richiesta di incostituzionalità dell'art. 36 del decreto legislativo citato affermando che: "il principio fondamentale in materia di instaurazione del rapporto di impiego alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni è quello, del tutto estraneo alla disciplina del lavoro privato, dell'accesso mediante concorso, enunciato dall'art. 97, terzo comma, della Costituzione.
L'esistenza di tale principio, in forza del quale la stabilizzazione del rapporto di lavoro nel pubblico impiego avviene in osservanza del principio del concorso pubblico, rende doveroso - a dire della Corte - il divieto di trasformazione a tempo indeterminato di eventuali contratti a termine, quand'anche essi - diciamolo pure noi -  siano a tutti gli effetti in frode alla legge.

Strenua difesa delle pubbliche amministrazioni, miopia della Corte che in altre occasioni ha sempre interpretato le norme nel senso di una intervenuta privatizzazione del pubblico impiego, incapacità a tutelare i diritti dei più deboli? Non è facile comprendere.
A farne le spese sono stati, come sempre,  i giovani ed i lavoratori precari. Infatti, le amministrazioni dello Stato hanno sempre maggiormente utilizzato gli strumenti del ricorso al lavoro precario, schiacciate, in verità anch'esse, da un blocco delle assunzioni pubbliche divenuto orami la regola, di talchè taluno potrebbe parlare di "precarizzazione del pubblico impiego" anziché di "privatizzazione del pubblico impiego" e "stabilità del blocco delle assunzioni" piuttosto di "stabilità del posto di lavoro".
Tutto ciò in assenza di una precisa disciplina risarcitoria esistente nell'ordinamento giuridico italiano che ha contribuito ad alimentare gli abusi gravissimi perpetrati attraverso le infinite assunzioni nelle pubbliche amministrazioni con contratti precari, e fra essi, tanti a termine. Ciò che è sotto gli occhi di tutti ha radici non solo nel sistema giudiziario italiano, ma anche nel sistema legislativo e quindi nella classe politica, nonché nel sistema concertativo e quindi nella volontà dei sindacati maggiormente rappresentativi.
Ma questa è un'altra storia. Torniamo alla nostra vicenda divenuta, quindi, per quanto detto, vicenda d'oltralpe.

LA DECISIONE DELLA CORTE DI GIUSTIZIA EUROPEA
La Corte di Giustizia ha stabilito che l'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999, che figura in allegato alla Direttiva del Consiglio 28 giugno 1999/70/CE, relativa all'accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, deve essere interpretato nel senso che non osta, in linea di principio, ad una normativa nazionale che esclude, in caso di abuso derivante dall'utilizzo di una successione di contratti o di rapporti di lavoro a tempo determinato da parte del datore di lavoro rientrante nel settore pubblico, che questi siano trasformati in contratti od in rapporti di lavoro a tempo indeterminato, mentre tale trasformazione è prevista per i contratti od i rapporti di lavoro conclusi con un datore di lavoro appartenente al settore privato, qualora tale normativa contenga un'altra misura effettiva destinata ad evitare e, se del caso, sanzionare un utilizzo abusivo di una successione di contratti a tempo determinato da parte di un datore di lavoro rientrante nel settore pubblico.
Ne consegue che, - stando sempre all'insegnamento della Corte - quando si sia verificato un ricorso abusivo ad una successione di contratti di lavoro a tempo determinato, si deve poter applicare una misura che presenti garanzie effettive ed equivalenti di tutela dei lavoratori al fine di sanzionare debitamente tale abuso ed eliminare le conseguenze della violazione del diritto comunitario.
La Corte Europea inoltre prima dice che non spetta alla Corte pronunciarsi sull'interpretazione del diritto interno, compito che incombe esclusivamente al giudice del rinvio, ma poi finisce con affermare che in Italia "prima facie" questa normativa esiste e sembra soddisfare i requisiti. La normativa di garanzia è indicata dall'art. 36 comma 2 del D.Lgs. 165/2001 (vedi sopra).

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Ufficio Studi Nazionale

IL NOSTRO COMMENTO
E' inutile nascondersi, la decisione delude chi sperava che proprio la Corte Europea, senza scardinare il sistema delle assunzioni nel pubblico impiego, desse almeno qualche buona indicazione affinchè potesse aprirsi nell'ordinamento giuridico italiano un momento di riflessione circa gli abusi perpetrati dalle Pubbliche Amministrazioni ai danni dei precari. Senza ombra di dubbio tale decisione è, pertanto, qualificabile come un'occasione mancata.

Tuttavia, è oltremodo doveroso evidenziarlo, la Corte non afferma affatto che sia lecito l'utilizzo di più contratti a termine con lo stesso lavoratore nel rapporto di lavoro pubblico in deroga alla previsione che dispone la trasformazione a tempo indeterminato. Chi dovesse affermare questo, come in taluni ambienti dottrinari si sta sostenendo, fornisce una interpretazione strumentale e distorta della decisione esaminata!

La suddetta sentenza, pur riconoscendo la non trasformabilità dei contratti di lavoro a tempo determinato nel pubblico impiego, contiene una serie di valutazioni assolutamente non dissonanti con le più acute sensibilità espresse in materia e con le più critiche valutazioni operate dai giuristi italiani sul radicamento di una simile prassi degenerativa. La decisione in esame contiene, infatti, un'espressa censura all'utilizzo abusivo di una successione di contratti di lavoro a tempo determinato, anche nel pubblico impiego; non omette di rilevare espressamente la contrarietà di essi all'ordinamento giuridico comunitario; ritiene, infine, che l'ordinamento giuridico interno dello stato membro debba prevedere in tale settore misure effettive per evitare ed eventualmente sanzionare l'utilizzo abusivo di contratti a tempo determinato stipulati in successione.

La decisione della Corte, poi, non risolve il problema che le si voleva sottoporre, nel senso che essa si limita a rilevare l'esistenza nell'ordinamento italiano di una norma sanzionatoria (qual è proprio il secondo comma dell'art. 36 del D.Lgs. 165/2001) per ritenere esaurito il proprio compito, rimettendo ai giudici nostrani ogni pronuncia sull'interpretazione del diritto interno e sull'effettiva tutela a mezzo dello strumento giuridico evidenziato. I Giudici Europei sostengono dunque che non v'è una lacuna nell'ordinamento ma semmai una tutela giudiziaria non attivata in applicazione delle norme.

Qual è dunque la situazione oggi vigente e soprattutto cosa si può ancora fare, sia a livello di tutela individuale e sia a livello di tutela collettiva, in caso di abuso derivante dall'utilizzo di una successione di contratti a tempo determinato nel pubblico impiego?
Messa in soffitta ogni ipotesi di adire, al pari del nostro cuoco, il Giudice del Lavoro al fine di sentir dichiarare l'avvenuta trasformazione dei contratti di lavoro a tempo determinato al pari di come accade nel settore privato, non resta che invocare la sanzione prevista dalle norme vigenti.
Essa deve e può senz'altro trovare applicazione con il diritto ad un risarcimento del danno in favore del lavoratore interessato. Sui criteri per una corretta qualificazione e quantificazione del danno patito dal lavoratore precario dipendente della pubblica amministrazione deve segnalarsi, tuttavia, che non esiste un panorama giurisprudenziale ancora maturo e non può sottacersi che si intravedono con preoccupazione anche aspetti problematici nella tutela giudiziaria prestata a mezzo dell'interpretazione della normativa oggi vigente.

Se da un lato, infatti, può affermarsi che sicuramente la cessazione di un rapporto di lavoro pubblico instauratosi per effetto di una abusiva successione di contratti a tempo determinato apre la strada ad una tutela risarcitoria, più complessa appare l'individuazione del danno risarcibile nelle altre ipotesi in cui il rapporto continua, sia pure in maniera irregolare, alle dipendenze della pubblica amministrazione.
Resta inteso che ovviamente le situazioni vanno valutate caso per caso.

Pertanto, conclusivamente, sarebbe opportuna, ancora prima che singole azioni a tutela di posizioni individuali, una tutela collettiva dei lavoratori attraverso un movimento di pressione sindacale sul legislatore finalizzato ad ottenere l'introduzione della risarcibilità espressa del danno non patrimoniale e morale in caso di illegittima successione di contratti a termine od altre forme di lavoro flessibile.
Al riguardo, si evidenzia che anche la contrattazione collettiva nel pubblico impiego può legittimamente introdurre una norma del genere e, pertanto, si auspica che al prossimo rinnovo contrattuale tale tematica venga portata al tavolo delle trattative dalle organizzazioni sindacali firmatarie del contratto nazionale.
Detto invito è espressamente rivolto a quelle organizzazioni sindacali che, chi scrive riconosce come autentiche e quindi autonome perché impegnate nell'effettiva tutela dei dipendenti pubblici e dei precari.
Avv. Nerino Allocati
Consulente legale della CISAL UNIVERSITA' di Napoli

 
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